Il dramma dell'ex consigliere regionale di FI
Angelo Burzi, la lettera alla moglie dopo il suicidio per la sentenza: “Era innocente, condanna politica”
La moglie Giovanna non ha dubbi, Angelo Burzi si è ucciso “perché si sentiva innocente, lo ha fatto perché era innocente”. Il marito, 73enne ex assessore regionale in Piemonte, tra i banchi del Consiglio tra il 1995 e il 2010 e tra le truppe liberali che hanno fondato Forza Italia prima di passare poi nel Popolo delle libertà, è stato trovato morto alla vigilia di Natale.
Burzi era rimasto solo nella sua abitazione di piazza Castello a Torino, con una scusa era riuscito a lasciar andare la moglie dai parenti a festeggiare. Quindi, con una pistola regolarmente detenuta, l’ha fatta finita non prima di chiamare i carabinieri: “Sto per suicidarmi, non voglio che sia mia moglie a trovarmi, avvisatela voi”. Inutile infatti la corsa dei militari, che lo hanno trovato già privo di vita.
Un suicidio che non era legato alla scoperta di una malattia, come inizialmente si era ipotizzato, ma alla condanna definitiva a 3 anni per l’inchiesta sulla cosiddetta ‘Rimborsopoli’ in Regione, ovvero le presunte irregolarità nell’utilizzo dei fondi destinati al funzionamento dei gruppi consiliari.
Il 14 dicembre scorso l’esponente di Forza Italia era stato condannato dalla Corte d’Appello di Torino a tre anni di reclusione: tra il 2010 e il 2014, anni di ‘riferimento’ per l’inchiesta, Burzi era capogruppo del partito in Regione. La pena più alta, quella per Burzi, in quanto capogruppo in Consiglio regionale.
La moglie Giovanna Perino si sfoga e con Repubblica parla di “condanna politica” contro il marito. Burzi che, prima di compiere l’estremo gesto, le ha lasciato una lettera, assiema ad una seconda per le figlie e a una terza indirizzata a cinque amici fidati.
“La sua è stata una condanna politica – dice la moglie – è stato perseguitato per quasi dieci anni. In primo grado Angelo era stato assolto, chi l’aveva giudicato in quella occasione aveva analizzato con attenzione la situazione”. Non a caso nella lettera lasciata alla moglie Burzi ringraziava la giudice Silvia Bersano Begey: “Angelo la ringrazia per il lavoro fatto, molto diverso rispetto a quello di altri suoi colleghi che sono venuti dopo“.
Una condanna vissuta come una profonda ingiustizia, perché gli sarebbe costata anche il vitalizio da consigliere regionale: “Per oltre 30 anni ha fatto politica. Era un uomo intelligente, molto intelligente. Se avesse voluto arricchirsi avrebbe trovato il modo, non certo con i buoni pasto e le cene rimborsate”.
Secondo Burzi infatti quelle migliaia di euro per le quali i giudici lo avevano condannato, erano in realtà spese legittime collegate all’attività politica e non peculato.
Il primo a evocare l’aspetto giudiziario dietro il suicidio di Burzi era stato l’allora governatore piemontese Roberto Cota, anche lui condannato a un anno e 7 mesi. “Angelo era intelligente, ma soprattutto di grande onestà e rettitudine. Ha vissuto con profonda ingiustizia Rimborsopoli, sulla quale credo sia ora necessario un approfondimento”, aveva spiegato all’Ansa Cota, oggi passato proprio in Forza Italia.
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