Un altro giudice “ingannato” dall’avvocato. Non trova pace la Sezione famiglia e volontaria giurisdizione del tribunale di Genova, per l’ennesima volta nel mirino di condotte gravemente scorrette da parte degli amministratori di sostegno. Ad essere arrestato, con l’accusa di peculato e falso, è stato questa volta l’avvocato Matteo Minna. Amministratore di sostegno di diverse persone, Minna sarebbe riuscito ad appropriarsi indebitamente di oltre 800mila euro riconducibili a quattro suoi assistiti.

Per mesi e mesi, l’avvocato genovese aveva redatto decine di relazioni false sull’andamento dei suoi amministrati, ingannando così il giudice tutelare che lo aveva nominato e che doveva vigilare sulla correttezza di tali incarichi. L’avvocato, va detto, era già noto alle cronache giudiziarie dal momento che in passato era stato indagato per peculato e circonvenzione di incapace nel suo ruolo di amministratore di sostegno dell’attore Paolo Calissano, poi morto nel dicembre 2021. Un “inciampo” che non gli aveva impedito di avere altri incarichi dal tribunale di Genova. Minna, secondo l’accusa, prelevava continuamente contanti dai conti dei suoi amministrati, disponendo anche bonifici a favore dei propri. Gli ingenti movimenti di denaro, spesso privi di qualsiasi rendiconto, venivano giustificati come pagamenti di fatture false per compensi per assistenza legale o per altre prestazioni professionali di cui non è stata rinvenuta alcuna traccia.

Nei mesi scorsi, in una altra indagine genovese riguardo la gestione dei beni di una persona affidata ad amministratore di sostegno, era finita nell’occhio del ciclone l’avvocata Maria Valeria Valerio, moglie dell’ex giornalista del Fatto Quotidiano e ora consigliere regionale d’opposizione in Liguria Ferruccio Sansa. Valerio, per la quale la procura aveva addirittura chiesto l’arresto poi però non accolto dal gip, sarebbe diventata beneficiaria di alcune polizze vita sottoscritte da una anziana per un valore di un milione di euro, soldi che in parte erano serviti per l’acquisto di una casa intestata ad uno dei suoi figli.

Il caso più clamoroso, sempre per rimanere a Genova, aveva però riguardato il giudice tutelare Paolo Viarengo. Il magistrato, ora in Corte d’appello, era finito sotto disciplinare al Consiglio superiore della magistratura dal momento che, per anni, non aveva mai richiesto all’avvocato Roberto Mina (poi condannato) il deposito dei rendiconti sulle sue attività di amministratore di sostegno in tre casi da lui seguiti e che avevano determinato la sottrazione di circa 500mila euro a minori con fragilità.

Viarengo, al termine dell’istruttoria, era stato assolto dal Csm perché, anche se era risultato “pacifico che aveva omesso di controllare l’operato di Mina, con conseguente danno patrimoniale per gli amministrati”, e dunque con una “grave violazione” accertata, nei fatti non sarebbe stato nelle condizioni di poter verificare l’operato degli amministratori avendo un carico di lavoro “sproporzionato rispetto a quello gestibile da un singolo giudice tutelare”.

“La colpa è del sistema non del singolo magistrato che è l’ultima ruota del carro”, dissero al Csm per “giustificare” il collega. Sarebbe allora il caso che, in attesa dell’epocale riforma della giustizia, il Guardasigilli Carlo Nordio disponesse un accertamento ispettivo su questi uffici giudiziari quanto mai delicati, ed il Csm emanasse dettagliati provvedimenti organizzativi per evitare il continuo ripetersi di tali episodi particolarmente odiosi, toccando persone senza alcuna possibilità di difesa.