Da ‘gola profonda‘ delle procure di mezza Italia a plurimputato seriale. È l’incredibile parabola dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara che il prossimo 30 gennaio comparirà davanti alla decima sezione penale del Tribunale di Milano con l’accusa, questa volta, di rivelazione di segreto d’ufficio. L’episodio riguarda alcuni dei verbali con le sue dichiarazioni, tra la fine del 2019 e inizio 2020, alla procuratrice aggiunta Laura Pedio e al pm Paolo Statori, in cui parlò per la prima volta della esistenza della loggia Ungheria. A rinviarlo a giudizio dopo la richiesta del pm Stefano Civardi è stata ieri la giudice dell’udienza preliminare Laura Minerva. Secondo l’accusa l’avvocato siciliano, che si è sempre proclamato innocente, durante la rilettura dei verbali li avrebbe fotografati, pur sapendo che erano atti coperti dal segreto istruttorio, per poi consegnarli a Vincenzo Armanna, ex manager di Eni, poi licenziato dalla società. Quest’ultimo “al fine di garantire l’impunità” ad Amara, difeso dal suo storico legale, l’avvocato Salvino Mondello, per la divulgazione di questi verbali avrebbe accusato falsamente un appartenente alla Polizia di Stato negli interrogatori fatti sia con i magistrati milanesi e poi con quelli di Perugia. Anche per Armanna la giudice ha disposto il rinvio a giudizio.

Le fotografie dei verbali erano poi entrate nella disponibilità del Fatto quotidiano che nel settembre del 2021 ne aveva pubblicato a puntate ampi stralci, tutt’ora consultabili sul sito del giornale. La pubblicazione di questi verbali aveva determinato un terremoto politico senza precedenti. Amara aveva riempito pagine e pagine di verbali dove, da un lato accusava l’amministratore dell’Eni Claudio De Scalzi ed il predecessore Paolo Scaroni di aver pagato tangenti al governo nigeriano per la concessione di un importante giacimento petrolifero, e dall’altro aveva svelato l’esistenza di questa fantomatica loggia super segreta chiamata Ungheria il cui scopo sarebbe stato quello di pilotare le nomine dei magistrati al Consiglio superiore della magistratura ed aggiustare i processi nei confronti degli ‘amici’. Il sodalizio di tipo paramassonico, non riconosciuto dal Grande Oriente d’Italia e poi rivelatosi un tarocco, secondo Amara era composto da alti magistrati, generali, comandanti dell’Arma dei carabinieri e della guardia di finanza, stimati professionisti.

Storari, verbalizzati i nomi di circa 65 ipotetici appartenenti, era pronto ad iscriverli nel registro degli indagati per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, ed era intenzionato ad effettuare i dovuti riscontri, anche mediante intercettazioni telefoniche. Il desiderio di fare le indagini da parte di Storari si era però subito scontrato con l’inerzia dei suoi capi, ad iniziare dall’allora procuratore Francesco Greco. Amara all’epoca, come detto, era il principale teste d’accusa contro i vertici dell’Eni, poi tutti assolti con formula piena, e non poteva rischiare l’accusa di “calunnia”. Storari, allora, cercò una sponda con Piercamillo Davigo, in quel momento componente del Csm. Rassicurato da quest’ultimo che non sarebbe andato incontro ad alcuna conseguenza, Storari gli consegnò così i verbali.

I due magistrati verranno a loro volta indagati per rivelazione del segreto d’ufficio. Assolto Storari, Davigo sarà invece condannato ad oltre un anno di prigione. Ed a proposito della loggia Ungheria, sempre ieri a Milano davanti al gup Guido Salvini era attesa l’esito dell’udienza preliminare in cui Amara e il co-imputato Giuseppe Calafiore sono accusati, a vario titolo, di calunnia e autocalunnia nei confronti delle 65 persone che avrebbero fatto parte della loggia Ungheria. La decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio dei pm Civardi e della collega Roberta Amadeo dovrebbe arrivare il prossimo lunedì. “È una questione di principio che sta prima e più in alto di ogni aspettativa risarcitoria”. – ha dichiarato il professor Pieremilio Sammarco, difensore dell’ex comandante generale della guardia di finanza Giorgio Toschi, uno dei soggetti tirati in ballo da Amaro come appartenente alla loggia Ungheria. “L’onore e la reputazione di chi ha ricoperto i più alti vertici dello stato sono beni che appartengono non solo al singolo, ma anche alle istituzioni. La nostra costituzione nel processo è diretta ad ottenere una condanna da parte dell’autorità giudiziaria nei confronti di chi discredita inventando falsità verso chi ha servito con onore e per una vita intera lo Stato”, ha aggiunto Sammarco.