Il giorno dopo l’assalto dei sostenitori violenti di Donald Trump al Campidoglio, che ha causato quattro morti e lo shock del mondo, anche il presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden, punta il dito contro il presidente uscente, mentre membri del Gop e leader Dem chiedono la sua rimozione.

Dopo l’appello con cui nelle ore dell’insurrezione violenta l’aveva esortato a rispettare il suo mandato e condannare chiaramente, Biden ha parlato di “terroristi interni” e detto che Trump ha “reso chiaro il suo disprezzo per la nostra democrazia” e ha scatenato un “attacco a tutto campo”. Il magnate, mentre il 20 gennaio dell’insediamento di Biden si avvicina, non può rispondere come è avvezzo fare, cioè sui social media, perché è stato sospeso (“i rischi” di non farlo sono “troppo grandi”, ha motivato Mark Zuckerberg).

Nel frattempo, il Congresso ha ratificato la vittoria di Biden, che ha poi presentato alcune nomine a incarichi di alto livello, come il giudice Merrick Garland alla Giustizia, Gina Raimondo al Commercio, Marty Walsh al Lavoro. La transizione procede, ma molti si chiedono come Trump deciderà di affrontare i 13 giorni che gli restano alla Casa Bianca.

Dopo l’assalto a Capitol Hill, Trump ha emesso una breve nota piegandosi alla necessità del passaggio di consegne: “Anche se sono totalmente in disaccordo con il risultato delle elezioni, e i fatti lo confermano, ci sarà una transizione ordinata il 20 gennaio”. Ancora, quindi, nessuna ammissione di sconfitta.

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E, ancora, l’infondata denuncia di frodi. Anche dal Gop sono piovute condanne e accuse di incitazione del violenze, oltre che di non averle sapute gestire. E si sono susseguite dimissioni nell’amministrazione, da quella dell’inviato speciale in Irlanda Mick Mulvaney, alla ex direttrice delle comunicazioni della Casa Bianca Stephanie Grisham, alla ministra del Lavoro Elaine Chao.

E da entrambi i partiti sono arrivate le richieste di rimozione di Trump. Alcuni hanno invocato il 25esimo emendamento, che consente la rimozione nel caso non possa adempiere ai propri doveri, altri l’impeachment, che impedirebbe la ricandidatura (opzione che pare improbabile, visti i tempi stretti).

La speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha chiesto di ricorrere all’emendamento: “Ha incitato un’insurrezione armata, ogni giorno può essere uno spettacolo dell’orrore”. Idem il leader dei Dem al Senato, Chuck Schumer: bisogna rimuoverlo “subito”. I deputati, rivelano fonti al Campidoglio, continuano a discuterne.

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Si susseguono anche le promesse di rimuovere i responsabili della polizia al Campidoglio, mentre la polemica infuria. Mura scalate, porte sfondate e selfie con i rivoltosi, nell’edificio protetto da 2mila agenti. Un contrasto stridente con la risposta della scorsa estate ai dimostranti antirazzisti del movimento Black Lives Matter, largamente pacifici, che furono manganellati, colpiti da lacrimogeni, arrestati in massa. Il neoeletto Mondaire Jones, afroamericano, ha chiesto un’indagine e riassunto il pensiero di molti: “Se gli assalitori fossero stati neri, sarebbero stati ammazzati prima di entrare”.

L’insurrezione al Campidoglio degli Stati Uniti ha innescato una resa dei conti per il Partito repubblicano, che per due mesi ha ampiamente assecondato le infondate denunce di frodi, brogli e “furto di voti” del presidente Donald Trump. Dal Gop si sono sollevate condanne più o meno dure della condotta del magnate, dopo che mercoledì potrebbe esser andato in scena il giorno più buio della sua presidenza. Mancano 13 giorni alla sua uscita dalla Casa Bianca e molti si chiedono se userà il tempo che gli resta per continuare il suo attacco alla democrazia. Il Gop negli anni ha assistito a molti suoi exploit controversi.

Un esempio: i commenti ai fatti di Charlottesville nel 2017, quando parlò di “brave persone” dopo un’uccisione nella marcia dell’estrema destra e dei suprematisti, con cappucci del KKK e slogan razzisti. Molti leader del Gop dissero che le sue parole erano state travisate. O l’anno scorso, quando per una photo-op fece sgomberare violentemente centinaia di dimostranti e definì il movimento antirazzista Black Lives Matter “un simbolo d’odio”.

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Ma l’assalto al Campidoglio è su un altro livello. Il Gop non può più abbozzare o giustificare Trump, davanti alle immagini dei rivoltosi con bandiere confederate che sfondavano le finestre del più sacro luogo della democrazia statunitense. L’ex ministro della Giustizia degli Stati Uniti, William Barr, ex fedelissimo di Trump prima di dissapori sulle presunte frodi e sulle indagini sul figlio di Biden, ha definito la sua condotta “tradimento della presidenza” e aggiunto: “Orchestrare una folla per fare pressione sul Congresso è imperdonabile”.

Un altro lealista, il senatore Lindsey Graham, ha commentato: “Quando è troppo è troppo”. Alle condanne verbali si sono aggiunte le dimissioni. Tra quanti hanno lasciato c’è l’inviato speciale in Irlanda del Nord, Mick Mulvaney, ex capo di stato maggiore di Trump: “Non posso restare”, chi rimane, “e ho parlato con alcuni di loro, lo fa perché preoccupato che il presidente possa fare di peggio”. Uscita di scena anche per Stephanie Grisham, ex direttrice delle comunicazioni della Casa Bianca, il vice consigliere per la Sicurezza nazionale Matt Pottinger, la ministra del Lavoro Elaine Chao. L’ex presidente George W. Bush ha parlato degli estremisti come di “scena disgustosa” e puntato il dito contro Trump: l’assedio è stato “lanciato da persone le cui passioni sono state infiammate da falsità e false speranze”. Più diretto Liz Cheney: “Non c’è dubbio, il presidente ha creato la folla violenta. Il presidente l’ha incitata”. I due fanno parte di un gruppo di repubblicani che già in passato era stato a favore di condanne dei comportamenti di Trump, ma la maggioranza nel partito era più cauta, timorosa di attirarsi l’ira della base. Le parole più dure sono arrivate da Anthony Scaramucci, direttore delle comunicazioni alla Casa Bianca per un breve periodo nel 2017: “I rappresentanti eletti repubblicani che ancora appoggiano Trump devono essere processati con lui per tradimento”.

Redazione

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