La partita presidenziale dopo il voto senatoriale in Georgia. Parte da qui la conversazione de Il Riformista con uno dei più autorevoli studiosi del “pianeta Usa”: Massimo Teodori, professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti, ha insegnato in università italiane e americane. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio, 2017); Obama il grande (Marsilio, 2016); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori, 2004) e, dal 20 maggio in libreria, Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino, 2020).

«Non prenderanno la Casa Bianca», proclama a ripetizione Donald Trump. Intanto ha perso la partita senatoriale in Georgia. I candidati democratici, Raphael Warnock e Jon Ossoff hanno vinto i due ballottaggi per il Senato in Georgia, battendo i repubblicani Kelly Loeffler e David Perdue. Era dal 2000 che i dem non conquistavano un seggio senatoriale nel Peach State. Cosa significa questo risultato nella partita presidenziale che si sta ancora giocando?
Questo significa che Biden avrà una possibilità maggiore di quella che poteva avere senza questa vittoria in Georgia, di implementare e di realizzare il suo programma di carattere sociale. Perché il punto fondamentale è la parte di welfare riguardante gli affitti, riguardante gli stipendi, riguardante l’housing sociale, l’edilizia abitativa sociale, la sanità etc. Con un Senato in mano ai repubblicani, probabilmente non avrebbe potuto fare quello che può fare invece con un Senato a maggioranza, anche se molto risicata, dei democratici. Ricordiamo che la riforma sanitaria di Obama fu molto limitata e tagliata perché Obama non disponeva del Senato. Bisogna sempre tenere a mente che il cosiddetto governo diviso, cioè con la Casa Bianca di un colore e entrambe le Camere, o anche una Camera sola, in particolare il Senato che è più importante, di un colore avverso, sono una forte limitazione ai programmi più “radicali”, chiamiamoli così, che il presidente può mettere in atto.
Per restare al voto in Georgia. Chi è il reverendo dem Raphael Warnock, e cosa rappresenta per l’America che un nero abbia conquistato un seggio in quello Stato da sempre o quasi roccaforte dei repubblicani più conservatori?
Innanzitutto la conquista di un seggio senatoriale, il che significa con una maggioranza in tutto lo Stato, di un nero in Georgia, è un fatto storico perché, non dimentichiamolo, la Georgia è stata la capitale del Sud confederato. Forse i lettori ricorderanno “Via col vento”, nel momento in cui i nordisti arrivano al Sud la prima cosa che fanno è incendiare Atlanta. Questa elezione ha un valore simbolico molto importante, che denota peraltro un’altra cosa ancor più significativa in generale.
Vale a dire?
Ormai il rapporto tra le minoranze non bianche e i bianchi si sta rapidamente evolvendo verso quello che i bianchi temono, e cioè che entro il 2030 i non bianchi saranno più numerosi dei bianchi. E questo è stato proprio uno dei punti su cui ha avuto successo Trump. Quando dice “America first”, Trump intende che l’America è quella dei bianchi, non è quella degli immigrati e dei non bianchi. Quindi la conquista senatoriale di uno Stato del Sud, il primo nel quale viene eletto un nero al Senato, ha questo grande valore simbolico che denota anche quel punto dolente per la destra di tipo trumpiano che rifiuta la società multietnica. La storia del reverendo Warnock è molto semplice e lineare, perché è l’erede delle chiese battiste nere, che furono quelle che determinarono, nella seconda metà degli anni Cinquanta, il movimento per i diritti civili al Sud che portò alla fine della segregazione. Quel movimento, capeggiato da Martin Luther King, anche lui un pastore, era stato guidato da una organizzazione, la Southern Christian Leadership Conference (Sclc), tutta centrata sulle chiese nere, artefice, tra l’altro, del famoso boicottaggio degli autobus che fu uno dei momenti di avvio della campagna dei diritti civili. L’elezione di un senatore al Sud deriva direttamente dal ruolo che le chiese nere, cristiane, hanno svolto in tutti questi cinquanta-sessant’anni nella conquista dei diritti civili per la popolazione nera. La leadership del movimento nero è sempre stata nelle mani dei pastori. Se andiamo a vedere i personaggi importanti, da Martin Luther King a Ralph Abernathy, da Joseph Lowery a John Lewis, sono tutti pastori delle chiese nere.
Intanto, l’inaffondabile Nancy Pelosi è stata confermata Speaker della Camera. È il suo quarto mandato, ed è ai vertici dal 2006. Il rinnovamento non è dunque un dogma?
In queste elezioni ha prevalso la linea, che poi era stata dettata da Obama, dello stringiamoci al centro se vogliamo vincere. Nancy Pelosi è una dei leader del centrosinistra, tradizionale democratico, contrapposto all’ala radicale, tanto è vero che in passato la sua rielezione alla testa della Camera dei Rappresentanti era stata contestata dalla Ocasio-Cortez, astro nascente dell’ala radical dei dem. Con Biden, con le prime nomine nel Gabinetto della futura Amministrazione presidenziale, con la conferma a Speaker della Camera della Pelosi, siamo alla netta riaffermazione della parte centrale, tradizionale del Partito democratico rispetto all’ala radicale che con Bernie Sanders e la Ocasio-Cortez, sembrava volesse conquistare il partito. La lezione che viene dalla vittoria del ticket Biden-Harris è che nonostante l’ala dei radicali bianchi e neri, il ruolo egemone dei democratici sarà riguadagnato solo su una solida posizione che, in termini europei, si può definire di centro-sinistra.
Mentre in Georgia si chiude la partita senatoriale, a Washington Trump ha chiamato a raduno tutti i suoi ultras, dai suprematisti bianchi ai complottisti, dai violenti Proud Boys agli anti-mask, dai negazionisti del Covid ai fondamentalisti evangelici. Cosa rappresenta questa “chiamata alle armi” da parte di Trump?
Ho l’impressione che la sconfitta in Georgia, con l’elezione dei due senatori democratici, significhi la fine del progetto di Trump di candidarsi come repubblicano fra quattro anni e, al contrario, il suo confinamento magari a rappresentare una parte scissionista repubblicana intorno a un partito di carattere integralista. La sconfitta in Georgia, Stato tradizionalmente repubblicano, sarà attribuita proprio a Trump e quindi provocherà all’interno dei repubblicani una reazione che potrebbe spaccare il partito, come già si vede nell’atteggiamento che si manifesta in Senato, in cui alcuni senatori trumpiani tenteranno simbolicamente, mi pare, di votare contro la ratifica del presidente.
Questa America che dà l’assalto ala capitale federale, è un’America residuale o qualcosa di più inquietante?
Gli estremisti radicali di destra, chiamiamoli così, ci sono sempre stati in America. Basta pensare al Ku Klux Klan e adesso a queste varie sigle, i complottisti, i Proud Boys, i gruppi della galassia del white power. Stiamo parlando di esigue minoranze che però, questo è il punto, hanno avuto grande spazio e grande risonanza dalla legittimazione del presidente. Non appena Trump non sarà più presidente, saranno relegati al loro ruolo di infima minoranza, come sono sempre stati. La visibilità degli integralisti di destra, così anche come degli integralisti di sinistra, deriva dalla legittimazione che il potere federale o il potere negli Stati gli dà, altrimenti sono delle minoranze estremiste come esistono in tutto l’Occidente.
Il vicepresidente Mike Pence ha ribadito a Trump di non avere i poteri per bloccare la certificazione della vittoria di Biden da parte del Congresso che si riunisce oggi (ieri per chi legge, ndr) in sessione plenaria sotto la sua presidenza. Trump gli ha risposto a muso duro: “Saresti politicamente dannoso se rifiutassi di bloccare la certificazione”. Per poi insistere: “Se ci aiuti vinciamo la presidenza”.
Si tratta di parole a vanvera. Perché il vicepresidente ha soli il compito di aprire le buste inviate dai Congressi dei singoli Stati con il risultato elettorale. Siccome tutte le buste sono già state certificate dagli Stati e i ricorsi presentati nell’ambito degli Stati sono stati tutti respinti, non c’è assolutamente alcuna possibilità che il vicepresidente possa fare qualsiasi cosa. L’unica cosa che sarà fatta i senatori che si oppongono hanno un certo tempo per dire le loro ragioni. Ma tutto si ferma lì, anche perché i conti sono semplici: anche se ci sono dieci senatori che si oppongono, la maggioranza dei senatori, e cioè i democratici più tutto il resto dei repubblicani, è una maggioranza che non può essere messa in dubbio.
Il 20 gennaio Joe Biden s’insedia alla Casa Bianca. Cosa deve attendersi l’Europa dalla sua presidenza?
L’Europa si può attendere una ripresa di rapporti più normali rispetto a quelli che ha avuto Trump e soprattutto questo se lo può attendere l’Unione Europea, nel senso che Trump aveva di fatto interrotto il riconoscimento stesso di una entità politico-statuale come quella dell’Unione Europea. Su questo non c’è il minimo dubbio, però bisogna sempre premettere che il teatro principale della politica estera americana, anche con Biden, rimane il Pacifico.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.