Bonnie Heady fu asfissiata a morte nella camera a gas del Penitenziario di Jefferson City, nello stato del Missouri, il 18 dicembre 1953. Era stata condannata per aver rapito e ucciso un bambino di sei anni di Kansas City. Era stata arrestata a settembre insieme a un suo complice. A ottobre era comparsa davanti a un giudice del tribunale federale di Kansas City. A novembre, dopo solo un’ora e otto minuti di discussione, una giuria popolare del tribunale federale aveva raccomandato la pena di morte, invocata dai parenti delle vittime e dagli stessi carnefici, rei confessi nel processo. Quindici minuti dopo, il giudice federale l’ha condannata all’esecuzione, che venne effettuata a tempo di record un mese dopo. Giustizia fu fatta, rapida e senza appello.
Se nulla fermerà la mano del boia, il 12 gennaio, dopo quasi settanta anni dall’ultima esecuzione federale di una donna, la storia si ripeterà. Un’altra donna, Lisa Montgomery, verrà messa in croce sul lettino della camera della morte del penitenziario di Terre Haute, in Indiana. Morirà avvelenata da una dose letale di Pentobarbital e dopo aver provato, prima dell’ultimo liberatorio respiro, una terribile sensazione di panico, di soffocamento o annegamento. Lisa si è resa responsabile di un delitto talmente efferato da far dubitare della sua reale capacità di intendere e volere al momento del fatto. Dopo aver strangolato una donna incinta, le ha aperto la pancia con un coltello da cucina, ha prelevato il feto di otto mesi e se l’è portato a casa per farlo crescere con sé… forse, per dare al bimbo l’amore che a lei, stuprata e prostituita sin da piccola, era stato negato. A differenza di Bonnie, arrestata, processata e giustiziata nel giro di pochi mesi, Lisa ha atteso tredici anni nel braccio della morte. Probabilmente non era in sé quando ha commesso il fatto, sicuramente oggi è una persona diversa da quella del delitto. Senza nessuna grazia, senza un atto di pietà, il 12 gennaio, giustizia sarà fatta. Una giustizia lenta ma inesorabile.
Nel 1953, quando Bonnie Heady è stata asfissiata col gas, governava in America il Presidente Ike Eisenhower, il generale che aveva deciso di fare la guerra al nazismo e porre fine all’orrore delle camere a gas nei campi di concentramento. Alla fine del conflitto mondiale, il Presidente degli Stati Uniti aveva denunciato anche il pericolo mortale che rappresentava per l’umanità – e per la stessa America – il complesso militare-industriale che per sopravvivere avrebbe avuto sempre bisogno di fare una guerra.
Il 12 gennaio 2021, quando sarà avvelenata Lisa Montgomery, governerà ancora Donald Trump, che sarà ricordato nella storia come il comandante in capo degli Stati Uniti d’America che ha deciso di dichiarare guerra, non ai nazisti e alle camere a gas, ma agli americani detenuti nel braccio della morte. Il complesso militare-industriale, per lui, non è mai stato un problema. Il pericolo risiede a Terre Haute, in Indiana, dove “vivono” i condannati a morte, da venti o trenta anni, in attesa della loro esecuzione. Per sopravvivere, Trump ha sentito il bisogno di riempire le carceri e “svuotare” i bracci della morte. Da cinico mercante, ha considerato l’uomo non un fine ma un mezzo, ha valutato la vita non un bene supremo da tutelare ma un mero oggetto da scambiare, ha fiutato la morte come un affare da sfruttare nella sua campagna elettorale.
Dopo l’esecuzione di Bonnie Heady nel 1953, l’estremo supplizio capitale è stato risparmiato al genere femminile rinchiuso nel braccio della morte federale. La camera a gas è stata dichiarata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti un modo “crudele e inusuale” di fare giustizia, contrario all’Ottavo Emendamento della Costituzione americana. “Crudeli e inusuali” sono state dichiarate anche le esecuzioni di persone minorenni o minorate mentali. Il boia del braccio della morte federale di Terre Haute è rimasto disoccupato per diciassette anni. Poi è arrivato Trump e lo ha rimesso all’opera.
A suo modo, ha iniziato a sgomberare il braccio federale a luglio, in vista delle elezioni di novembre, e ha continuato l’opera anche dopo averle perse. In sei mesi, ne ha fatti fuori dieci, il numero più alto dal 1896 quando governava Grover Cleveland, il “Presidente buono”, animato da spirito di equità e amore per la giustizia. Nel 2020, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, sono state giustiziate più persone a livello federale che in tutti i 50 Stati della federazione. Prima di quelle dell’anno scorso, non c’erano state esecuzioni di questo tipo in America dal 2003 e solo tre detenuti federali erano stati giustiziati da quando la pena di morte a livello federale è stata ripristinata nel 1988.
Nella sua foga giustizialista, Trump vorrebbe finire il suo lavoro in questi primi giorni di gennaio, prima che Joe Biden diventi a tutti gli effetti Presidente degli Stati Uniti e decida, come ha promesso, di chiudere per sempre il braccio della morte nell’Indiana. Contro ogni prassi e consuetudine che vorrebbero un Presidente uscente rinviare al successore la decisione di confermare o meno le esecuzioni federali, Trump ha deciso di mandare al patibolo altri tre condannati a morte, tra cui Lisa Montgomery. È il suo triste addio alla scena, eloquente del suo modo di pensare, di sentire e di fare.
Se non sarà accolto un appello dell’ultimo minuto, il 12 gennaio, Lisa diventerà la prima detenuta federale a essere giustiziata in quasi 70 anni e, forse, anche l’ultima nel prossimo futuro. Trump, invece, passerà alla storia per il suo uso cinico della pena capitale, per la sua arcaica concezione della giustizia, che esige di cavare un occhio per ogni occhio cavato, togliere la vita a chi la vita ha tolto, ripagare il danno arrecato con un danno di egual misura. In tal modo, è divenuto lui stesso cieco, mortifero, dannoso. Ha condannato e si è autocondannato alla “catena perpetua” di causa ed effetto, al ciclo assurdo di delitto e castigo, della violenza e del dolore da ricambiare con una violenza e un dolore eguali e contrari. Alla fine, si è rivelato anche lui “crudele e inusuale”, come le pene e i trattamenti contrari all’Ottavo Emendamento della Costituzione americana.
Dall’antica legge di Dio Trump ha tratto la versione negativa e spietata, che giudica, condanna e maledice per sempre. Ne ha fatto un codice personale e penale da imporre al mondo e ai giorni nostri. Della volontà di Dio ha negato la parte positiva e benevola, che pure esiste, e indica un diritto e una giustizia di miglioramento, di tutela e di riparazione. Come invocava Aldo Moro, il progresso penalistico non sta nel miglioramento del diritto penale, ma nel suo superamento con qualcosa di meglio del diritto penale, che sia più ragionevole e più umano del diritto penale. È questa la “nuova frontiera” del diritto e della giustizia penale: un diritto senza pene e istituti di pena, una giustizia che non punisce, ma ripara.