Sullo scontro tra Di Matteo e Bonafede ministro di Giustizia vi sono commenti reticenti, non adeguati, a volte non veritieri. La stampa va sempre alla ricerca di scandali anche su questioni irrilevanti o banali, ma il diverbio e le accuse tra due personaggi rappresentanti di settori delle istituzioni tra i più delicati sono un inedito che non può non destare allarme e preoccupazione. Lo scontro è avvenuto in una trasmissione Tv scandalistica e qualunquistica, che probabilmente ha fatto raggiungere il massimo della soddisfazione al suo conduttore, che fa registrare una caduta di stile molto grave per un componente del Csm, e la inadeguatezza di un Ministro che, colto di sorpresa, non sa cosa dire a un interlocutore finora considerato idolo, protettore e garante di un giustizialismo sfrenato che ha costituito e costituisce il programma politico del grillismo.

Dobbiamo rilevare che nel regolamento interno del Csm non sono previste le regole di comportamento per le comunicazioni esterne che si applicano per tutti i magistrati, perché il ruolo del singolo componente è cosi “alto”, per cui è fuori da qualunque parametro; quindi Di Matteo non aveva alcun condizionamento! Ma la questione è assai più delicata e inquietante perché Di Matteo fa una accusa precisa: alludendo alla protesta dei detenuti per mafia, e in particolare di Graviano potente boss della mafia, che avrebbero protestato duramente nel caso della sua nomina, indica (non si può dire se consapevolmente) in Bonafede la vittima e al tempo stesso l’attore di un possibile attentato ai poteri dello Stato stabilito dell’art. 338 il codice penale.

L’accusa è chiara, formale e senza equivoci perché il ministro avrebbe subito il ricatto e sarebbe venuto a patti con i rappresentanti di Cosa Nostra e quindi con la mafia. Per ragioni meno valide Di Matteo che è il massimo esperto della trattativa tra lo Stato e la mafia, ha chiesto la condanna per attentato ai poteri dello Stato, e ha ottenuto dal giudice condanne pesanti anche se discutibili come sappiamo, per cui è inevitabile che la Procura della Repubblica indaghi formalmente su questa notizia. Certamente l’accusa è inspiegabilmente tardiva e tradisce un risentimento covato per tanto tempo, una vendetta a freddo che un magistrato che pretende di avere la cultura della giurisdizione non può fare: ma tant’è, la denunzia c’è ed è stata ribadita nelle varie interviste, e non c’è dubbio che nell’accusa c’è la volontà di delegittimare il ministro.

Tanti hanno rispolverato un vecchio adagio che chi pretende di essere “puro” troverà sempre uno più “puro” di lui, ma in questo caso credo si possa dire, lasciando da parte la “purezza”, che al giustizialismo non c’è limite e quindi il vero campione, in questo caso, non sono il grillino Bonafede o i grillini tutti, ma è un autorevole pubblico ministero che aveva insegnato loro che i colpevoli, comunque e sempre colpevoli, meritano una definitiva punizione.

La conseguenza di tutto questo è che il ministro Bonafede ha dichiarato alla Camera dei Deputati di voler fare un decreto legge per rimettere in carcere i boss o i non boss per smentire i magistrati di sorveglianza e intaccare la loro autonomia e indipendenza, e pertanto diventare più “puro” e vincere la partita. Si tratta di una dichiarazione incredibile e fuori dall’ordinamento giuridico e costituzionale: come cattolico mi sento di dire che si è fuori dalla grazia di Dio la quale può essere data solo agli uomini di buona volontà! Ma di questa questione ci occuperemo altra volta.