Qualcosa si muove dentro la magistratura. Timidamente, timidamente. Il discorso pronunciato l’altro giorno al Plenum del Csm da Alessandra Dal Moro a nome di Area (la corrente di sinistra della magistratura) è finalmente una boccata d’aria, dopo giorni e giorni di silenzio asfissiante e di scatti di ira reazionari che ci stavano fornendo un’immagine terrificante del potere giudiziario. Ho scritto potere consapevolmente. Negli ultimi giorni la magistratura – guidata dai davighiani, da Di Matteo, Gratteri e poi Caselli, Travaglio e tutti gli altri ufficiali di complemento – non si è presentata all’opinione pubblica come un Ordine, qual è, ma come un potere: un potere arrogante e tiranno. Con l’esclusione, naturalmente, di alcuni suoi settori, come i magistrati di sorveglianza, che sono stati presi a bersaglio dai loro colleghi, vilipesi, insultati e alla fine massacrati e messi fuori gioco da un decreto che il partito dei Pm ha imposto al suo ministro – sempre piuttosto obbediente – il quale mercoledì notte lo ha varato, sebbene sia un decreto irrazionale e del tutto estraneo ai principi della Costituzione (ma anche dello Statuto Albertino del 1848) e a qualunque perimetro democratico.

Il punto debole del discorso di Alessandra Del Moro è l’assenza di un vero e proprio atto d’accusa verso la stessa magistratura. La dottoressa Dal Moro, in modo assai efficace, ha demolito le sparate reazionarie dei politici e dei giornalisti che in questi giorni hanno fatto a gara nel chiedere che i principi della giustizia e i codici fossero messi da parte per dare spazio ai tribunali del popolo e delle Tv e ai linciaggi mediatici, o anche reali. La dottoressa Dal Moro ha spiegato molto bene quali siano i principi del diritto da rispettare e il recinto costituzionale dentro il quale magistratura deve muoversi.

Però non ha denunciato esplicitamente due cose. La prima è la presa di posizione di magistrati, ex magistrati e anche membri autorevoli del Csm (mi riferisco ovviamente a Di Matteo), i quali si sono uniti alla campagna del linciaggio, anzi l’hanno guidata. Di Matteo, in particolare, ha accusato la sua collega del Tribunale di sorveglianza di Milano di collusione con la mafia. Ha detto che la sua collega milanese ha ceduto al ricatto della mafia. Possibile che il Csm non prenda posizione contro questa inaudita e orrenda calunnia lanciata da un suo membro? Eppure, con la partecipazione attiva proprio dei consiglieri di Area, il Csm aveva messo sotto accusa il consigliere professor Lanzi per molto meno. Solo per avere criticato genericamente la magistratura milanese per le inchieste sul Trivulzio. Come si spiega questa pratica dei due pesi? Come è possibile che l’incredibile uscita del consigliere Di Matteo resti così, senza che nessuno la censuri, la condanni, che almeno ne prenda le distanze?

La seconda mancata denuncia riguarda il nuovo decreto Bonafede. Quello che prevede la delegittimazione della magistratura di sorveglianza e la concessione dell’onnipotenza alle Procure e ai Pubblici ministeri. È chiaro che è un decreto che viola non solo la Costituzione, ma ogni criterio di legalità. È una guappata, uno spavaldo colpo di maglio al diritto. Mi chiedo come mai il Csm, sempre così attento a giudicare e spesso condannare tutte le iniziative dei passati governi sui temi della giustizia, lasci passare senza obiezioni questa follia che mette in discussione in modo plateale e senza precedenti ogni principio di indipendenza del giudice.

Chi scrive non è un tifoso dell’indipendenza della magistratura. Io penso che non ci sia niente di male nello schema francese o americano che non prevede l’indipendenza del Pubblico ministero ma lo subordina all’esecutivo. Però in quello schema è l’accusa che non è indipendente, non certo il giudice. Nessuno mai ha pensato di poter mettere in discussione l’indipendenza del giudice e addirittura di sottometterlo all’accusa. È una cosa evidentemente dissennata, dovuta probabilmente a pulsioni illegali e autoritarie, e a scarsa conoscenza della giurisprudenza e del diritto e della logica formale. Succede, quando uno vale uno.

Le due cose – mancata denuncia della magistratura e mancata protesta contro il governo – sono in realtà molto legate tra loro. Per una ragione semplice: questo governo è in grandissima parte subalterno non alla magistratura in quanto tale, ma al cosiddetto partito dei Pm. E questo è un problema molto serio. Perché in questo modo si ferisce l’autorevolezza della magistratura, e la sua autonomia, e si delegittima il governo. Non è autonoma una magistratura che permette a un suo settore (il più visibile, il più attivo, il più televisivo) di adoperare la propria funzione per interferire o per egemonizzare, o per sottomettere, o per ricattare il potere politico. In queste condizioni non ha più senso parlare di indipendenza della magistratura. Tanto più quando le pressioni politiche della magistratura, paradossalmente – come nel caso dell’intervento contro i tribunali di sorveglianza – avvengono per delegittimare e per far perdere indipendenza a un settore della magistratura stessa.

Su questi temi ci sono settori della magistratura disposti ad alzare la voce? A fermare la deriva autoritaria e reazionaria che oggi sembra inarrestabile? A uscire dal coro, a riprendere in mano le battaglie per il diritto, opponendosi al dilagare del corporativismo che da 30 anni ha preso il sopravvento nella categoria?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.