Mi ricordo che quarant’anni fa, quando imperversava il terrorismo e la mafia uccideva tutti i giorni, la tentazione dello stato di emergenza fu forte. Il ministro dell’Interno era Cossiga, e sui muri scrivevano il suo nome con le “esse” disegnate con il tratto gotico con il quale era disegnato il distintivo delle Esse Esse naziste. In realtà Cossiga si dimostrò poi un liberale. E le istituzioni fondamentali della democrazia si salvarono, anche se da quelle emergenze iniziarono a nascere tanti dei difetti che oggi scontiamo: gli anni di piombo sono gli anni nei quali la politica ha preso a delegare le sue competenze alla magistratura e a concedergli poteri sempre più vasti e inquisitori.

Oggi la politica e i giornali stanno provando a ricostruire quel clima. Ci fanno credere che viviamo in una drammatica emergenza criminalità e che occorrono misure straordinarie di difesa della sicurezza. Perciò intercettazioni a tappeto, trojan, fine della prescrizione, fine della legislazione premiale per i detenuti, fine dei permessi, allarme scarcerazione e da oggi anche sospensione dei poteri alla magistratura di sorveglianza. La ragione di questa decisione, ovviamente incostituzionale, che è degna di un qualunque Paese totalitario? L’allarme generale. Non si sa bene allarme per che cosa, ma allarme. La criminalità comune è sempre più debole, i dati dicono che il numero dei delitti è in picchiata. Il terrorismo non esiste più e addirittura il nostro Paese è stato l’unico Paese europeo risparmiato dal terrorismo internazionale dei primi due decenni del duemila. La mafia? Forse chi governa oggi è troppo giovane per sapere davvero cosa è stata la mafia. Hanno sentito dire, si sono riempiti il cervello con le grida della retorica.

Hanno imparato a memoria le trombonate di Di Matteo, di don Ciotti, di Travaglio, di Bonafede. Nessuno di loro – neanche delle persone che ho citato – probabilmente ricorda di quando la mafia faceva la guerra allo Stato davvero, uccideva, falciava politici di destra, di sinistra e di centro, magistrati, giornalisti. Metteva le bombe. Realizzava le stragi. In quegli anni, combattere la mafia seriamente, mettersi di traverso, provare a fermarla, era pericoloso sul serio. Molti ci hanno lasciato la pelle, anche molto i magistrati, Falcone, Borsellino, Chinnici, Costa, Terranova, Scopelliti, Livatino. Gente seria, coraggiosa davvero. Allora c’era l’emergenza mafia.

Oggi qualcuno può dire in coscienza che il problema del Paese è l’attacco assassino dei mafiosi? No, il piombo non si vede, però l’idea è quella di concentrare la politica, e unirla, del far fronte contro l’attacco mafioso e terrorista. E se provi a far notare che questo attacco non c’è e che le emergenze del Paese sono altre (lavoro, reddito, sviluppo, impresa, ritorno della giustizia, abbattimento della burocrazia, accoglienza dignitosa dei migranti…) viene additato come disfattista e amico dei mafiosi. E in questa risposta all’attacco che non c’è si fanno a pezzi principi essenziali dello Stato di diritto. La decisione dell’incontrastato ministro Bonafede di mettere fuorigioco i magistrati di sorveglianza (che sono gli unici che si sono impegnati in questi mesi per trovare rimedi al Covid) è gravissima sotto tutti i punti di vista. Ha due conseguenze drammatiche.

La prima è quella di rendere la politica carceraria del governo rosso-giallo ( o rosso-bruno), la più spietata di sempre. Varrà la pena di ricordare un’altra volta che l’articolo del codice penale contestato oggi perché troppo umanitario fu scritto dai fascisti. Questo Governo, sul piano della politica carceraria ci tiene a mostrarsi più spietato del governo di Mussolini.

La seconda conseguenza è quella della ferita mortale allo Stato di diritto. In pratica si decide che una parte della magistratura giudicante viene sottoposta ai Pubblici ministeri. È una costruzione istituzionale che non si era mai vista, anche perché eccessivamente scombiccherata, in nessun Paese, ne democratico né totalitario. In questo modo si abbatte il principio dell’indipendenza della magistratura, e cioè un principio sempre considerato come sacro dalla stessa magistratura. Figuratevi, personalmente io non lo ritengo affatto un principio sacro: in moltissimi Paesi democratici la magistratura non è indipendente. In America, in Francia.

Lì però è l’ufficio del Pubblico ministero che è subordinato al potere esecutivo. Mai e poi mai il giudice. L’autonomia e l’indipendenza del giudice è connaturata a qualunque idea ragionevole di giudizio. Qui invece si inventa la teoria che il giudice è subalterno all’accusa. Per fortuna cominciano ad udirsi, seppur timide, alcune voci di dissenso. Nel Csm hanno preso posizione “leggermente” democratica sia Area (sinistra) che magistratura indipendente (a difesa dei giudici di sorveglianza accusati da Di Matteo di cedimento alla mafia. Però non se la sono presa con Di Matteo. Hanno messo nel mirino Gasparri. Difficile sperare che questi magistrati vengano allo scoperto per la difesa del diritto, se basta il nome di Di Matteo e l’ombra di Travaglio per terrorizzarli.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.