Si rompe il fronte “delle manette” al Csm. Per la prima volta nella storia, i consiglieri laici grillini “criticano” Nino Di Matteo, il pm del processo Trattativa Stato-mafia e magistrato di riferimento della base pentastellata.  Con una nota diffusa ieri mattina, i laici in quota M5s Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati e Fulvio Gigliotti sottolineano come “i consiglieri del Csm, togati e laici, dovrebbero, più di chiunque altro, osservare continenza e cautela nell’esprimere, specialmente ai media, le proprie opinioni, proprio per evitare di alimentare speculazioni e strumentalizzazioni politico-mediatiche che fanno male alla giustizia e minano l’autorevolezza del Consiglio”.

Nel mirino, l’attacco di Di Matteo sferrato nei confronti del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede durante l’ultima puntata della trasmissione Non è l’arena di Massimo Giletti su La7. In collegamento telefonico, a proposito delle recenti scarcerazioni di detenuti sottoposti al regime del 41 bis, il magistrato siciliano aveva “accusato” Bonafede di aver dato retta ai boss non nominandolo al vertice del Dap nell’estate del 2018. Parole durissime che avevano lasciato “esterrefatto” il Guardasigili, scatenando una violenta polemica politica. “Chi ha l’onore di ricoprire un incarico di così grande rilievo costituzionale, deve sapersi auto-limitare; questo non significa – proseguono i laici del M5s – rinunciare a esprimere le proprie opinioni, ma vuole dire farlo nelle forme e nei modi corretti. E’ quello che noi facciamo, e convintamente continueremo a fare, da quando, nel settembre 2018, siamo stati chiamati dal Parlamento al ruolo di componenti del Csm”.

La difesa pancia a terra del Guardasigilli anticipa l’intervento che Bonafede oggi pomeriggio terrà alla Camera sull’accaduto. Il ministro si era subito giustificato dicendo di aver proposto a Di Matteo anche un altro incarico di prestigio sul fronte della lotta alla mafia, quello di direttore degli Affari penali, lo stesso avuto ai tempi da Giovanni Falcone al Ministero della giustizia. Un ufficio che, leggendo però l’organigramma di via Arenula, non esiste. La sparata televisiva a scoppio ritardato di Di Matteo e la presa di distanza dei laici pentastellati rischia ora di provocare un terremoto al Csm, il secondo, dopo il “Palamara-gate”, incrinando l’asse di ferro fra i Davighiani, le toghe di sinistra e, appunto, i laici grillini.

Di Matteo, un passato da toga progressista, poi transitato in Unicost ricoprendo l’incarico di segretario distrettuale dell’Anm del capoluogo siciliano, lo scorso ottobre venne “folgarato” da Davigo, accettando di correre per le elezione suppletive del Csm nelle liste di Autonomia&indipendenza, il gruppo fondato dall’ex pm di Mani Pulite. Su 26 componenti del Csm, l’asse “rosso-bruno” ne conta adesso 13, a cui si deve aggiungere il voto del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, toga progressista. “Sfilandosi” Di Matteo, c’è la parità perfetta e nessuna maggioranza predefinita. Ci sarà da divertirsi.