La corsa per aggiudicarsi il titolo di giornale più forcaiolo d’Europa prosegue appassionantissima. Il Fatto, clamorosamente, rischia di essere superato da Repubblica. Il Corriere arranca in terza posizione ma non si dà per vinto. La parola d’ordine è la stessa per tutti: “Metteteli in prigione!”. Chi? “Chi vi pare, ma metteteli in prigione”. E chi deve spiccare l’ordine di cattura? “Il governo, il ministro!”. Il Fatto è stato colto di sorpresa da questa offensiva sanfedista. Non si aspettava una Repubblica così battagliera su posizioni ultrareazionarie. Era abituato a Calabresi, a Verdelli. Allora reagisce con rabbia e manda a combattere in prima linea il vecchio Marco Lillo, che non ha molti rivali su queste praterie. Sta organizzando la riscossa. Ha dettato la linea (credo): “Molliamo Bonafede”. Anche perché Lillo quando sente parlare di trattativa Stato-mafia non ci vede più e picchia fendenti. Stavolta, diobuono, stavolta è proprio vero: Di Matteo ha le carte giuste per incastrare il suo rivale. Altro che Dell’Utri, qui c’è l’osso.

Mi ricordo di aver sentito una volta, con le mie orecchie, Lillo che accusava Berlusconi di orridi reati perché lo riteneva responsabile di non aver denunciato le minacce che avrebbe ricevuto. Beh, se Berlusconi era colpevole, ragazzi, il povero Bonafede va proprio messo al rogo. E a proposito di trattativa Stato-mafia comincia a porsi un problema molto serio. Quello dell’immobilità della magistratura. La magistratura è stata colta impreparata dall’affondo di Di Matteo contro il ministro, ma soprattutto contro i colleghi. Sono centinaia i magistrati coinvolti nello “scandalo”, per avere firmato le scarcerazioni (saranno pure legittime, ma sempre scarcerazioni sono, eh…).. Non solo giudici di sorveglianza ma moltissimi Gip, cioè quelli che sono intervenuti per mandare a casa i detenuti in attesa di giudizio (e per ristabilire una situazione di legalità largamente violata dalla pratica degli arresti facili). E ora la magistratura che fa? I colleghi sono furiosi con Di Matteo, che sta radendo al suolo quel poco di credibilità che ancora la magistratura aveva. Ma poi c’è un problema molto complicato e immediato: si interviene?

I fatti sono chiarissimi. C’è una notizia di reato che è stata dichiarata in Tv e su tutti i giornali da un Pm, e cioè da Di Matteo, che è anche membro del Csm. E ci sono nomi e cognomi degli indiziati, a partire dal nome del ministro. Il reato potrebbe essere quello indicato dal codice penale agli articoli 338 e 339, e cioè attentato contro un corpo dello Stato, che è il reato che è stato usato per condannare in primo grado tutti gli imputati di Di Matteo al processo Stato-Mafia. Lasciate stare l’opinione diffusa che quello sia stato un processo farsa. Comunque è un processo. E il Pm era Di Matteo, ed evidentemente era convinto dell’esistenza di quel reato e della possibilità di applicarlo non solo a chi minaccia ma anche a chi riceve le minacce, le accoglie, cede e non denuncia. Giusto?

Poi c’è la possibilità che il reato sia invece quello che nel codice penale non esiste ma che ha determinato molte condanne, e cioè “concorso esterno in associazione mafiosa”. A due esponenti politici di primo piano come il senatore Dell’Utri e l’on. Cuffaro quel reato è costato circa cinque anni trascorsi in prigione senza benefici carcerari. Più la bolla indelebile. Beh, è vero che nessuno sa in cosa consista quel reato, ma certo, se esiste, scatta nel caso che qualcuno prenda ordini dai mafiosi e blocchi la nomina e la carriera e lo stipendio di Di Matteo. Giusto?

E allora, prima domanda: perché Di Matteo, che è pur sempre un Pm, non si rivolge ai suoi colleghi e chiede che si proceda contro Bonafede? È suo preciso dovere. Di più? Perché non lo ha fatto due anni fa? E se non lo ha fatto due anni fa non è già incorso, comunque, in un reato pure lui, seppur più lieve, e cioè mancata denuncia o forse favoreggiamento? Non è abbastanza grave che il più importante magistrato antimafia si dimentichi di denunciare le minacce mafiose a un ministro per amor di pace? Boh. Comunque, anche se Di Matteo non denuncia, qualche Procura dovrà pure intervenire contro il ministro e deferirlo, quantomeno al Tribunale dei ministri. L’azione penale, avevo capito io, è obbligatoria. O è obbligatoria solo se non ci sta di mezzo qualche magistrato? Salvini c’è finito a processo, è assurdo che ora non tocchi a Bonafede.

Ammenochè le accuse di Di Matteo non siano del tutto fantasiose (effettivamente io devo ancora capire come sia successo che domenica sera Bonafede ha proposto a Di Matteo di fare il capo del Dap, domenica notte i mafiosi lo hanno saputo, non si sa bene da chi, hanno protestato, si son fatti intercettare, le intercettazioni sono state trascritte dagli uffici della polizia penitenziaria e portati a Bonafede, sempre nel corso della notte, il quale alla mattina presto ha deciso di rinunciare a Di Matteo…). Ma se le accuse di Di Matteo sono fantasiose vuol dire che Di Matteo ha calunniato il ministro. Non c’è anche qui un reato abbastanza pesantuccio con azione penale obbligatoria?

E poi, comunque, c’è la questione dei colleghi. Di Matteo ha accusato tutti loro, o almeno alcuni (quelli di Milano) di aver ceduto al ricatto mafioso come il loro ministro e di avere scarcerato i boss. Mica roba da niente. Anche lì dovrebbe scattare l’inchiesta per concorso esterno. E poi dovrebbe scattare l’iniziativa dello stesso ministro. Il quale è titolare della richiesta al Csm di aprire un’azione disciplinare contro il magistrato che accusa i suoi colleghi di essere mafiosi. Pensate che proprio ieri il Csm ha concluso l’azione contro il magistrato Lupacchini il quale per avere garbatamente criticato Gratteri è stato degradato sul campo e spedito a mille chilometri di distanza dalla sua sede. Beh, eppure Lupacchini non aveva dato del mafioso a nessuno. Per Di Matteo che si fa? Interviene il Procuratore generale della Cassazione? Interviene il ministro? Tutti fan finta di niente? In questo momento stiamo vivendo una situazione clamorosa di illegalità ai vertici del governo e della magistratura. Possiamo andare avanti così e poi fare la multa a una vecchietta che entra dal pizzicagnolo senza mascherina?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.