Continua in maniera feroce la polemica tra Nino Di Matteo e Alfonso Bonafede. Di Matteo è il pm di Palermo che credette a Scarantino e mandò a puttane l’inchiesta sull’omicidio di Paolo Borsellino, quello che ha costruito il grande processo sulla trattativa Stato-mafia che poi è stata demolita in moltissimi altri processi. E’ quello che andò alla procura nazionale anti-mafia ma che dopo qualche mese fu mandato via dal procuratore poiché “parlava troppo” rilasciando troppe interviste.

La rottura con Bonafede è misteriosa. Perché una delle icone del Movimento 5 Stelle ha rotto con i grillini? Abbiamo fatto due conti, forse influenzati dal modo di pensare dei 5 Stelle. Abbiamo visto che Bonafede ha proposto a Di Matteo di fare il direttore del Dipartimento degli affari penali o di fare il capo del Dap. Di Matteo, dopo averci pensato, ha detto al ministro “Voglio fare il capo del Dap“. A quel punto Bonafede ha detto “No devi fare il direttore del Dipartimento degli affari penali“.

Qui nasce il caso. Il capo del Dap guadagna 320 mila euro, il direttore del Dipartimento degli affari penali “solo 160 mila. Il capo del Dap è il magistrato più privilegiato d’Italia, guadagna molto più del presidente di Cassazione, dei deputati. Perché Di Matteo avrebbe dovuto guadagnare la metà e così rinunciare a 160 mila euro?

Su questa polemica, intanto, si sta aprendo una grande crisi istituzionale che coinvolge il presidente della Repubblica, che avrebbe bloccato due anni fa la nomina di Di Matteo. C’è di mezzo il ministro della giustizia accusato dall’ex Pm di “concorso esterno in associazione mafiosa“. C’è Di Matteo che ha fatto saltare la maggioranza rosso-bruna del Csm. Tutto per una questione di 160 mila euro. La toga è sacra, finché non arriva qualche vantaggio politico o economico.