Il tentativo di omicidio del primo ministro slovacco Robert Fico è un chiaro e brutale promemoria del clima incendiario che il populismo è in grado di alimentare. Come spiega la sua biografia politica, il capo del governo della Slovacchia è un populista di sinistra filorusso. Ex comunista, dopo il crollo del Patto di Varsavia Fico fonda il partito Smer nel 1999. All’inizio si presenta come un partito della ‘Terza Via’, ma di fatto è un partito nazionalista e populista di sinistra. Può contare contemporaneamente su una metà di elettorato progressista e su un’altra metà di elettorato rurale nazionalconservatore. Sul piano delle politiche pubbliche, Smer propugna la crescita economica tramite investimenti pubblici, difende l’identità nazionale, è ostile ai diritti delle minoranze, ai diritti legati alla sfera sessuale e riproduttiva, alle politiche ambientali.

Nel 2006, a seguito di una paradossale alleanza con i partiti di destra, viene momentaneamente sospeso dal gruppo socialista europeo che considera inaccettabile l’accordo con la destra estremista e razzista. Dalle elezioni del 2020 il partito populista guidato da Fico, feroce nemico della redistribuzione dei migranti, ostile al federalismo europeo e amico della Russia di Putin, si distingue per un’ideologia sovranista di sinistra e socialconservatrice su basi cristiane. Fico auspica di interrompere gli aiuti militari all’Ucraina e le sanzioni comminate contro la Russia.

La vittoria alle elezioni politiche dell’anno scorso arriva anche grazie al linguaggio incendiario utilizzato da Fico che, tra le altre cose, ha accusato Zuzana Čaputová, la presidente uscente, liberale e progressista, di essere un “agente americano” e di agire nell’interesse del finanziere americano George Soros, un cliché delle teorie del complotto. Negli ultimi mesi, il governo di coalizione guidato da Fico ha cercato di adottare una serie di misure controverse, di rivedere il sistema penale, di ridurre le pene per la corruzione. Fico ha abolito l’ufficio del procuratore speciale, incaricato di indagare su casi di corruzione gravi riguardanti persone direttamente collegate a lui e al suo partito.

Il governo inoltre sta cercando di chiudere l’emittente pubblica RTVS, per sostituirla con una nuova emittente nazionale sotto un controllo più stretto del governo. Tra i suoi obiettivi c’è quello di replicare in Slovacchia la cosiddetta ‘legge russa’ sugli ‘agenti stranieri’, la stessa che sta provocando le proteste in Georgia e che prevede regole di polizia per limitare la critica delle organizzazioni civiche e dei media indipendenti contro il governo. Juraj Cintula, l’attentatore 71enne incriminato ieri per ‘tentato omicidio premeditato per vendetta’, ha dichiarato di aver colpito Fico proprio per manifestare la sua opposizione alle norme del governo ostili ai media e alla magistratura: un gesto inaccettabile che tuttavia spiega lo stato di frustrazione di un’ampia parte dei cittadini slovacchi.

Il governo di Bratislava cerca adesso di cavalcare a proprio vantaggio la motivazione politica dell’attentatore: il ministro degli interni Matu’s Sutaj Estok ammette che l’attentatore è un “lupo solitario”, ma il ministro della difesa Robert Kalinak avverte che “non si è trattato di un atto accidentale, ma di un atto pianificato”. Un atto che sarà usato per giustificare la stretta sull’informazione e sull’opposizione. A dare man forte al governo di Fico, le cui condizioni sono definite gravi ma stabili, arrivano ieri due inquietanti sostenitori. Il primo, Dmitri Medvedev, numero due del Consiglio di sicurezza di Mosca, definisce l’aggressione “la quintessenza della nuova Europa: idiota-russofoba, vassalla sfrenata e completamente senza testa”. Il secondo, il premier ungherese Viktor Orbán, vede davanti dei mesi “critici” nei quali “dobbiamo lottare da soli per la pace” e per questo chiede di “porre fine alla violenza e votare per la pace il 9 giugno”.
Un appello che parte dal ventre molle del populismo europeo ed è rivolto agli altri partiti ‘nazionalsocialisti’ europei.

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