Il dibattito sull’autonomia è tornato con forza nell’agenda pubblica, ed è un bene. Negli ultimi giorni, Carlo Stagnaro ha parlato di un Nord che ha “perso la voce”, Michele De Pascale di un’autonomia “reale” e Luca Zaia della “questione settentrionale”. Attilio Fontana ha proposto più poteri alle Regioni, federalismo fiscale e un richiamo alla questione salariale. Ma già Beppe Sala nel 2023 aveva chiesto salari più alti dove si produce più ricchezza, per redistribuire e contrastare la carenza di lavoratori. Il punto non è solo riconoscere i problemi, ma capire a quale livello affrontarli. La soluzione non può ridursi a un generico trasferimento di poteri alle Regioni: prima di tutto serve chiarezza.

Le sovrapposizioni tra Stato, Regioni e Comuni generano inefficienza; senza un ordine netto, l’efficacia si disperde. In questo quadro, la prospettiva urbana offre soluzioni concrete. Emmanuel Conte, che ben conosce Milano, ha proposto “un nuovo patto tra Stato e grandi città che riconosca autonomia e flessibilità”: un’impostazione glocal che colloca poteri e strumenti dove servono davvero, a partire dalle aree metropolitane, sottoposte a costi e pressioni – anche salariali – diversi dal resto del territorio.

Al tempo stesso, l’Italia è fatta di borghi e metropoli. Francesco Billari ha ricordato lo spopolamento delle aree interne e le pressioni delle grandi città su casa, costi e scuola. Pietro Bussolati ha osservato che Milano, cresciuta come polo globale, ha accentuato squilibri con i territori vicini. Tutto questo mostra come la contrapposizione Nord-Sud sia superata e come lo stesso Nord non sia un blocco omogeneo: Milano e Torino condividono sfide più simili tra loro che alle province lombarde. In prospettiva, le Regioni rischiano di sostituire al centralismo romano un centralismo regionale incapace di cogliere queste differenze. Inoltre, molte sfide – ambiente, energia, digitale, migrazioni – non si risolvono a livello nazionale o regionale, ma richiedono la dimensione europea.

Per la prossimità, la cellula giusta resta il Comune, dove i bisogni emergono con precisione e le risposte possono essere rapide. L’Anci, da Antonio Decaro a Gaetano Manfredi, ha più volte chiesto più poteri e strumenti. Sergio Mattarella ha ricordato che i Comuni sono il primo presidio della democrazia e della vicinanza concreta ai cittadini. Servono strumenti calibrati sulla dimensione dei Comuni: una metropoli non è un borgo. Il dibattito è prezioso perché tocca la vita dei cittadini e impone scelte non rinviabili; attendere Roma significherebbe rassegnarsi all’immobilismo. È significativo che a rilanciarlo siano amministratori locali: non teoria, ma urgenza di soluzioni. La via è un’autonomia responsabile: non separazione, ma cooperazione tra territori. Un’architettura “su misura” che dia ai Comuni strumenti adeguati e riconosca le differenze, costruendo risposte capaci di migliorare la vita delle comunità.

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Pugliese di nascita, milanese d’adozione, cosmopolita per vocazione. Ho ancora il garofano rosso nel taschino, osservo, critico, rilancio o semplicemente rompo. Epicureista e razionalista convinto. Segretario dell'associazione Upward.