L’esperienza di 30 anni, in cui si sono fatte 5 leggi maggioritarie, dovrebbe insegnare qualcosa. 30 anni in cui il paese è stato fermo e non è riuscito a superare gli errori della Prima Repubblica e gli orrori della Seconda Repubblica. Sono tante le ingiustizie e le storture su cui bisogna agire: una di queste è il sistema giudiziario inquinato dalla cattiva stampa e da teorie aberranti. Il giustizialismo non è l’opposto del garantismo: è la negazione della Costituzione e dello Stato di diritto. E se il PCI non è mai andato al governo, se non con il governo Ciampi, non è per colpa del sistema elettorale proporzionale ma per la politica: certo, c’era il confronto est-ovest, ma c’era la “egemonia” democristiana e l’incapacità politica di costruire ampie alleanze, di fare mediazioni e compromessi, in particolare con i socialisti dopo il 1975-1976. E qui sarebbe lunga la storia.

Bicameralismo perfettissimo ed esecutivo dominante

Nel 1987 la federazione del PCI di Milano, di cui ero segretario, chiese di evitare l’ennesimo scioglimento del Parlamento, proponendo di fare una legge costituzionale che riducesse a una Camera sola con 400 deputati. Con le recenti innovazioni, da perfetto il bicameralismo è diventato perfettissimo. Adesso siamo addirittura a sistemi elettorali simili per Camera e Senato. Non solo: da tempo ormai il governo, di centrodestra, di centrosinistra, di destracentro, prevale sul Parlamento, che deve lavorare sui decreti legge e che è bloccato dai voti di fiducia. Giustamente Mattarella ha richiamato al ruolo del Parlamento: non si può avere una assemblea rappresentativa bloccata perché l’esecutivo comanda o per disciplina di coalizione. E la democrazia rappresentativa e costituzionale è stata sepolta tra l’indifferenza dei parlamentari, che poi sono dei nominati dei “padroni” dei partiti personali.

La disaffezione dei cittadini verso la politica e le istituzioni

Dagli Ottanta era in corso una grande campagna contro la partitocrazia, che ha via via assunto i caratteri di antipolitica e che ha finito per alimentare un male antico della nostra storia: l’apolitica. Il combinato disposto di un attacco alle basi della Costituzione “nata per unire” un paese profondamente lacerato e di una vicenda mediatico-giudiziaria come quella del 1993 ha creato le condizioni di una personalizzazione della politica, di un proliferare di partiti personali e di leggi elettorali che hanno allontanato i cittadini dall’esercizio del voto. Basti pensare a fenomeni di questi anni che hanno visto aumentare i non votanti in modo vertiginoso. Dell’astensionismo si parla solo il giorno dopo le elezioni, ma qualche misura si dovrebbe prendere. Per esempio al Comune e alla Regione non viene eletto sindaco o presidente il candidato che non ha la maggioranza dei voti validi e almeno il 25% dei consensi degli elettori. Nelle altre elezioni dei Consigli comunali, regionali, della Camera e del Senato, gli eletti sono proporzionali al numero di votanti.

Violazione della legge su un organo costituzionale

E, per di più, da un anno non viene eletto il giudice della Corte Costituzionale. Siamo già al dodicesimo scrutinio; si andrà al tredicesimo. Da tre scrutini è all’ordine del giorno del Parlamento in seduta comune l’elezione di tre giudici, essendo scaduti il presidente e due vicepresidenti. La legge ordina che entro un mese deve essere sostituito il componente decaduto della Corte Costituzionale: cosa che non avviene e non succede nulla. Provate voi a fare la dichiarazione dei redditi un anno dopo e vedrete le conseguenze. Ma nessun gruppo politico o parlamentare chiede che la riunione vada a oltranza finché non vengono eletti i giudici.

Politica e legge elettorale

Le leggi elettorali non possono risolvere il problema della politica che i “partiti” non sanno fare. Il maggioritario è frutto di una campagna di antipolitica e di diffusa apolitica: la demagogia ha vinto nei referendum. Continuo a chiedermi come mai abbiamo applicato alcune consultazioni ma non la privatizzazione della Rai e lo scioglimento del ministero del Turismo e dello Spettacolo. Vi ricordate cosa si diceva? Che con il maggioritario sarebbe stato semplificato il quadro politico e che ci sarebbe stata la stabilità. È stato così? Oppure noi siamo diventati ancora più frammentati, con “formazioni partitiche” che non hanno più radici territoriali, non sono capaci di promuovere partecipazione popolare alla politica e non hanno alcun riferimento vero con le grandi famiglie politiche-partitiche europee?

Il Consiglio metropolitano

In questi anni è stata fatta anche una legge sotto la pressione della demagogica campagna sulla “riduzione dei costi della politica” che ha ridotto la democrazia. È stata fatta confusione tra i costi della politica e i “costi della democrazia”. Infatti non si sono abolite le Province, ma si è abolita l’elezione diretta dei Consigli provinciali. Adesso ci si augura che il Parlamento adotti finalmente una legge elettorale per le aree metropolitane, con l’elezione diretta del sindaco metropolitano e l’elezione (proporzionale) del Consiglio metropolitano. Almeno è questa la proposta che avverto come urgente dopo che la Corte Costituzionale ha sancito come incostituzionale la disparità di trattamento tra i cittadini del capoluogo e quelli dell’hinterland.

Il consigliere sostituto

Ma voi sapete che in Regione Lombardia esiste la figura del “consigliere sostituto”? Quando il presidente (eletto dal 22% degli elettori, basta un voto in più di un altro candidato anche se i votanti sono solo il 42% degli elettori) nomina nella Giunta un consigliere, costui non si dimette da consigliere ma va in una sorta di aspettativa, sostituito protempore in Consiglio dal primo dei non eletti. Un consigliere, diventato assessore. Ha un consigliere sostituto, che va a casa quando l’assessore si dimette e torna a fare il consigliere. Oddio, il sostituto quasi sempre non è che va a casa, viene fatto sottosegretario (altra figura anomala a livello regionale). Tutto ciò in omaggio a leggi che volevano che la Giunta fosse un organismo “tecnico” separato dal Consiglio, dalla politica! Troppi luoghi comuni di antipolitica sono passati come dati di fatto. E in tutti questi anni si è privilegiato l’esecutivo senza contrappesi: non si può avere il maggioritario per le assemblee con un esecutivo specchio del maggioritario; se si vuole un esecutivo forte, ci deve essere un legislativo, un sistema di controllo, una assemblea rappresentativa altrettanto forte. La scelta di fare gli assessori non consiglieri appartiene alla stagione dell’antipolitica, di una demagogia dannosa per la democrazia e le istituzioni: gli assessori devono essere consiglieri, perché il ruolo di assessore non è tecnico ma di indirizzo politico-amministrativo e deve essere eletto dal Consiglio, non nominato dal “cesare”, questa figura monocratica/podestarile. E questo comporta anche che gli assessori partecipano ai lavori dei Consigli, con beneficio della trasparenza e della responsabilità di fronte a una assemblea elettiva.

Lo sbarramento naturale

Sento spesso dire “legge elettorale con sbarramento al 4-5%”. Vorrei solo far presente che la legge elettorale vigente in Italia dal 1946 al 1994 (con la breve fallimentare esperienza del 1953: se quella era una legge truffa, quelle di questi 30 anni cosa sono?) avrebbe ridotto a 5-6 i partiti. Già allora il quorum per la seconda circoscrizione più grande della Lombardia, quella di Bergamo-Brescia (che eleggeva 21 deputati su 630), era il 4,35%. La Lega Lombarda nel 1987 apparve per la prima volta alla Camera grazie al fatto che aveva ottenuto un deputato nella circoscrizione di “Como Varese Sondrio” con il 6,7%: in quella circoscrizione il quorum era 4,55%. Se alle prossime elezioni ci fosse il collegio Bergamo Brescia (13 deputati da eleggere su 400),  con il sistema proporzionale ci vorrebbe il 6,67% per eleggere un deputato.

Un disegno sovranazionale

Non possiamo parlare della legge elettorale senza inquadrarla in un disegno costituzionale organico. Il che, a mio parere, comporta una visione di sovranità europea: l’Italia senza l’Europa sarebbe messa male. E paradossalmente oggi dico che non è vero il contrario, che l’Europa ha bisogno dell’Italia. Questa è un’illusione che possiamo dirci per farci contenti. E non penso questo solo per i nostri debiti. Sempre più questioni (economia, diritti dei lavoratori, condizione delle donne, immigrati, università, ricerca, sanità, cultura, sistema di difesa, polizia interna, diritti) hanno una dimensione sovranazionale in un rapporto con le autonomie territoriali, regionali e comunali. Anche sul tema del fine vita bisogna avere una dimensione europea. Sempre più la struttura nazionale diventa un ostacolo alla dimensione europea sovranazionale; solo un sistema europeo di autonomie regionali e comunali può essere la base per realizzare un’Unione europea che conti nel mondo in un sistema di multilateralismo, che deve comprendere – piaccia o non piaccia – Stati Uniti, Cina e Russia. Per questo bisogna avere il “Senato europeo”, rappresentativo delle Regioni e delle autonomie metropolitane, al fianco della Camera europea (oggi Parlamento Ue). Questa è la vera riforma istituzionale insieme alla costituzione di una Commissione europea autorevole, non frutto dell’alchimia dei pesi delle nazioni ma espressione del voto diretto dei cittadini europei.

Elezione diretta del presidente della Commissione europea

Con il prossimo voto del Parlamento europeo (proporzionale) si potrebbe andare all’elezione diretta del presidente della Commissione Ue. Ciò costringerebbe i paesi a fare delle scelte nette per l’Europa (chi ci sta e chi non ci sta) e proietterebbe le famiglie politiche-partitiche europee in una dimensione diversa. Non come somma delle rappresentanze nazionali, ma come espressione di una volontà popolare europea.