Manca coscienza civica
Autonomia, un dibattito sul nulla mentre il Sud continua a morire: il turismo non è la soluzione ma i cittadini devono chiederne conto
Immaginate per un attimo che una città con la popolazione di Genova sia sparita dall’Italia. In dieci anni, un po’ alla volta, la gente che abitava le sue strade, i suoi vicoli e quartieri si sia volatilizzata. Questo esercizio di fantasia vi serve per comprendere quello che è successo in una decade nel Mezzogiorno d’Italia. Ben 550mila persone hanno lasciato il Sud con destinazione Nord Italia oppure estero dal 2014 al 2023. Di questi, 168mila sono giovani laureati che abbandonano la propria terra per trovare realizzazione professionale altrove. In parole povere: ogni anno le università meridionali “regalano” 18mila laureati al Settentrione o, in molti casi, all’estero.
Ciò accade oggi, non nell’Italia del dopoguerra o del boom economico degli anni Sessanta, quando si lasciavano le terre del Sud per avere un lavoro nelle fabbriche del Nord. Questi sono i numeri duri e crudi della crisi del Meridione. Nessuna speculazione politica, zero interpretazione: matematica pura. Eppure questo dato non è mai stato citato nella diatriba che da qualche settimana contrappone chi è a favore della legge sull’autonomia differenziata e chi è contro. Dopo il raggiungimento del numero di firme on line, il referendum per l’abrogazione della legge voluta dal leghista Calderoli si avvicina anche se ci sono ancora molti scogli da superare. Nel dibattito che ha infuriato sotto gli ombrelloni italiani in questa bollente estate, però, nessuno ha mai discusso di numeri. Cosa più importante è che nessuno parla mai di prospettive per il Mezzogiorno.
Se leggete editoriali, commenti, interviste, non c’è una sola proposta da ambo le parti per capire quale strada deve intraprendere il Sud per evitare il declino definitivo, la morte sociale. Solo contrapposizione ideologica su una norma che, sbagliata o meno, lancia un sasso nello stagno fermo della “Questione meridionale”. È deprimente vedere la mancanza di proposte. Ed è imbarazzante il fatto che nessuno si interroghi come mai siamo arrivati a questo punto. Non si interroga il governo centrale, con una gestione confusa e parcellizzata dei fondi del Pnrr. Soprattutto non si interrogano i presidenti delle regioni meridionali. Alcuni di loro, come De Luca ed Emiliano, sono oramai al governo da molti anni delle rispettive amministrazioni. Nelle loro dichiarazioni, però, non si legge nemmeno l’ombra di un’autocritica, del riconoscimento di aver sbagliato qualcosa. In tipico stile italiano, è sempre “colpa di qualche altro”: di chi c’era prima o di chi è al governo.
Ad oggi, non si riesce a capire che idea si ha del Sud tra dieci anni. Quando non si hanno idee, la risposta è: “Il Sud deve vivere di turismo”. Una risposta disarmante che mette in evidenza la totale ignoranza dei basilari meccanismi economici. Una macroarea come il Mezzogiorno non può vivere solo di turismo, visto che è un settore a basso valore aggiunto, con produttività scarsa e salari minimi. Il turismo è un ottimo coadiuvante al Pil del Paese ma, come spiegano importantissimi studi macroeconomici, non è la soluzione. La soluzione dovrebbe essere l’industria, la logistica, visto che il Sud è al centro del Mediterraneo. Dovrebbe essere l’attrazione di investimenti tecnologici, grazie alla presenza di importanti centri universitari. Invece discutiamo di autonomia differenziata; di chi ha rubato cosa; di chi ha sbagliato “più forte” senza offrire uno straccio di soluzione.
Se davvero si vuole andare verso un cambio di paradigma per il Sud, non lo si può fare sui giornali ma riconoscendo anzitutto i problemi e poi favorendo gli investimenti, creando infrastrutture, digitalizzando il territorio e promuovendo un livello di vita migliore per i propri cittadini. I quali dovrebbe chiedere conto ai governatori e ai loro rappresentanti di tutto ciò che manca. Si discute, invece, di autonomia differenziata come se la colpa dell’arretratezza del Mezzogiorno fosse di una legge che ha due mesi di vita. Insomma, un nuovo distrattore: parliamo di autonomia per non discutere dei problemi reali. I presidenti delle Regioni meridionali, insieme ai partiti e agli intellettuali che li sostengono, dovrebbero dire ai propri cittadini cosa stanno facendo per il futuro; quale impegno hanno messo a terra per evitare che i giovani scappino dal Sud. Dovrebbero indicare la direzione verso la quale il Mezzogiorno potrà crescere. Certo, dovrebbero dirlo. Sempre che i cittadini meridionali lo chiedessero. Fin quando mancherà una coscienza civica, per il Sud la prospettiva sarà solo il dibattito sui social con i migliori che andranno via.
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