Ma che cosa pensa il magistrato del proprio provvedimento che tiene in prigione una donna e il suo bambino? Ci sono tre ipotesi, mi pare. La prima: pensa che sia giusto, e cioè che sia appropriata la legge che, suo tramite, realizza quell’abominio. Se è così, credo sia esatto tenerlo per aguzzino, perché non si vede come considerare altrimenti uno che imprigiona quell’innocente.

Seconda ipotesi: pensa che sia ingiusto, e cioè che nessuna legge dovrebbe obbligarlo ad arrecare quel male. Se è così, credo sia esatto tenerlo per vigliacco, perché diversamente non si saprebbe come definire chi non si assolve da quell’obbligo rinunciando a farsi strumento di una simile crudeltà. La terza ipotesi, se possibile, è la più allarmante: e cioè che quel sequestratore di Stato ritenga in tal modo di adempiere a un’esigenza di giustizia così alta da giustificare – “purtroppo” – anche quel sacrificio.

Nei primi due casi è, alternativamente, la soddisfazione di chi tortura o l’inerzia di chi la infligge perché non ne ha sufficiente ripugnanza. Nel terzo, anche più gravemente, è il finalismo di chi la giustifica per quanto gli spiaccia. Lo stesso finalismo che allarga le braccia se il detenuto si impicca: perché, per la legge che ne comanda l’arresto, la vita del condannato è meno importante della sua vita rinchiusa. Lo stesso finalismo che fa spallucce davanti all’assoluzione in trafiletto dopo l’arresto in prima pagina: perché il potere di dimostrare la colpevolezza vale più del diritto di protestare l’innocenza. È uguale: quella madre deve subire la pena perché è giusto così; e se questa giustizia implica l’ingiustizia inflitta a un bambino, ebbene bisogna farsene una ragione perché persino l’infanzia libera è sacrificabile in nome della pretesa punitiva dello Stato.

Si potrebbe aggiungere che, se questa inciviltà continua, il problema non è tanto del magistrato che con il suo potere la realizza, ma nostro, che quel potere continuiamo a lasciargli. Verissimo. Diciamo però che se uno, almeno uno, adoperasse l’autonomia e l’indipendenza che gli sorregge la carriera per dimostrare di non appartenere a nessuna di quelle tre categorie, allora qualcosa comincerebbe forse a cambiare.

Nel frattempo, con i bambini che continuano a essere tenuti in carcere, sarà gioco forza continuare a giudicare chi ce li manda per quel che è: un aguzzino o un vigliacco o un giustiziere. Dunque uno che non meriterebbe di essere giudice.