L’epopea delle migrazioni umane, un intreccio universale che accompagna da sempre l’umanità nel suo cammino sulla Terra. Una danza tra terre, mari e frontiere, spinta da un desiderio comune: una vita migliore! Che sia per ragioni economiche, aspirazioni ardite o fuga da catastrofi naturali, mutamenti climatici, guerre o instabilità politica, l’essenza è la stessa: la ricerca di un luogo sufficientemente sicuro da potere abitare in terre altre. Negli ultimi decenni, le migrazioni internazionali si sono mosse in crescendo, abbracciando nel 2020 circa 281 milioni di individui, il 3,6% della popolazione mondiale. Centinaia di milioni di storie umane. Alcune felici, molte tristi, soprattutto quando la partenza è stata un rituale di sofferenza senza neanche il tempo di un addio. Emigrare, anche quando è un atto volontario, può essere un coacervo di rischi per la salute: anemia, ipertensione, malnutrizione.

E quando il percorso migratorio è forzato, profonde sono le ferite, fisiche e mentali, che determina. I container claustrofobici, gli incidenti, la malnutrizione, le spoglie condizioni dei centri di detenzione e campi profughi, il senso di smarrimento, lo shock culturale, l’ansia, la colonna sonora dell’angoscia, della tristezza e della paura che accompagnano e seguono lo spostamento. Note discordanti che scatenano la melodia amara del disagio mentale dei migranti, la morsa della depressione e il lamento persistente del disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Le cifre sono impressionanti ed elevano i richiedenti asilo e i rifugiati a protagonisti di una tragedia moderna. Nel 2021, il numero di rifugiati registrati dall’UNHCR ha continuato a crescere, toccando i 21,7 milioni. Un aumento rispetto ai 15 milioni dell’anno precedente. Un crescendo di storie, una sinfonia di speranze infrante e resilienza incrollabile nell’interminabile viaggio delle migrazioni umane. “Migrants’ mental health recovery in Italian reception facilities”, è il titolo di un recente e importante lavoro scientifico pubblicato su Communications Medicine di Nature, una delle riviste più acclamate a livello internazionale.

Il merito va al Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Roma 2 che lo ha realizzato in collaborazione con l’Unità Operativa Complessa Salute Migranti ASL Roma 2, la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, l’Università Federico II di Napoli, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e la New York University di New York City. La ricerca presentata nell’articolo, condotta nel tumulto del 2021, ha riguardato un campione di 100 migranti costretti a una quarantena di 14 giorni, legata alla pandemia da Covid-19. Tre le risultanze fondamentali. I traumi vissuti nelle terre d’origine, con lesioni personali, torture e violenza, emergono come predittori chiave del tormento psicologico del PTSD più del livello sociale e dell’istruzione; un ambiente accogliente in strutture più piccole, caratterizzato da supporto sociale e psicologico, aiuta a migliorare radicalmente la salute mentale dei migranti in generale e di quelli affetti da PTSD in particolare; i mediatori culturali sono guide fondamentali in un labirinto di nuove culture e realtà, essenziali per una migliore tutela della salute mentale e per una efficace protezione e integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati.

Nello studio, la scienza danza a braccetto con un approccio che mette al centro la persona, dimostrando che un modello di accoglienza improntato ai valori sociali, agli aspetti psicologici e alle narrazioni culturali tutela e migliora la salute mentale e apre porte d’integrazione. A quasi cento anni dalla sua nascita, un ulteriore tributo va a Franco Basaglia, il cui pensiero di restituire dignità e soggettività alla “persona” continua fortemente a risuonare nel vento della scienza e della pratica clinica, proprio come dimostrato dai risultati della ricerca che sono un vibrante invito per tutti i paesi che aprono le loro porte ai migranti: esplorare e abbracciare nuovi modelli di intervento multidisciplinare per trasformare l’accoglienza da un semplice atto di essere “accettati come categoria migrante” a un autentico atto di accogliere persone, l’accoglimento. Accoglienza e accoglimento sono parole simili nel suono, ma divergenti nell’essenza. È come passare dal buio alla luce, da un’etichetta impersonale a un fattore umano. Questo invito risuona come una sinfonia di cambiamento, un richiamo a trasformare il modo in cui vediamo e accogliamo chi cerca rifugio sperando in un altrove dopo aver detto addio al letto e al piatto di abitudine, al luogo vespertino degli addii, alla sedia sposata con lo stesso crepuscolo e alla strada che fecero le sue scarpe, come ricorda poeticamente Pablo Neruda.