La missione
Bergoglio, una visione ispiratrice. Il Pontefice che ha restituito importanza alle idee del Concilio Vaticano II

Caro Claudio,
ho seguito con grande interesse e apprezzamento il dibattito che il Riformista ha aperto su Papa Francesco e la dimensione geopolitica del suo pontificato. Non mi ritrovo sul confronto fra Benedetto XVI e Francesco e sul loro relativo spessore teologico e filosofico. Benedetto sarebbe un raffinato teorico della teologia e Francesco un parroco populista disorganico del terzo mondo.
Si dimentica una semplice verità storica. Per secoli la teologia cattolica è stata soffocata dentro la gabbia teorica della scolastica di San Tommaso d’Aquino, ovvero di Aristotele. Al risveglio dell’umanesimo e del rinascimento europeo, la Chiesa Cattolica contrappose il Concilio di Trento, che nel 1563 definì le frontiere di difesa contro il Protestantesimo, e chiuse le porte al mondo nuovo ed alle trasformazioni culturali e scientifiche. Questa chiusura ci ha fatto conoscere l’Inquisizione e la frattura con la scienza e la filosofia moderna.
C’è voluto Giovanni XXIII nel 1962 a convocare il Concilio Vaticano II per spalancare le porte della Chiesa al mondo moderno, alla scienza e alla filosofia contemporanea. L’elaborazione teorica dei padri del Concilio fu gigantesca, raffinata e di una enorme complessità teorica.
Alla morte di Giovanni, dapprima Paolo VI tentò di fermare il processo avviato, riconducendo in porto tutte le imbarcazioni, ancora in mare, che stavano esplorando nuovi approdi, e poi Woytila riuscì a ridurre il Concilio a una somma di innovazioni liturgiche, azzerando le profonde innovazioni teoriche per una teologia libera dagli schemi “pagani”.
Ratzinger è stato il teologo a supporto di Wojtyla che, con posizioni spesso teologicamente mediocri e burocratiche, ha difeso la demolizione del Concilio Vaticano e, avvalendosi del potere che gli veniva dall’essere il capo della Congregazione per la dottrina della fede (ex Santo Ufficio), ha zittito ed escluso dall’insegnamento molti teologi padri del Concilio. Niente di raffinato e soprattutto nessun pensiero originale e creativo, che ha mostrato subito la sua impotenza nel dialogare con il mondo contemporaneo e nel governare i grandi problemi della Chiesa, che con lui restava isolata in una visione sud-europea. Alla fine, ha dovuto arrendersi.
Francesco era un parroco e un gesuita (l’opposto di populista) con una preparazione teorica solidissima. Non si è attardato a riaprire le elaborazioni del Concilio. Le ha date per scontate e acquisite, facendole subito sue e mettendole in pratica, consapevole di entrare in rotta di collisione con quella Chiesa adagiata nelle certezze schematiche della scolastica di San Tommaso. Se si separa Francesco dall’impianto conciliare non si riescono a comprendere la potenza e la solidità delle sue posizioni. Non è un populista, ma un teorico che vuole sostituire Aristotele con il Vangelo e la teologia del Concilio Vaticano II.
È una visione del mondo che dovrebbe inspirare i cattolici e gli uomini “di buona volontà”, pur nella piena indipendenza dei loro ruoli nella vita. Una diversa “weltanschauung”: Cristo al posto di Aristotele. Il Concilio riteneva che, solo con questa visione, la Chiesa potesse attraversare una nuova fase di sviluppo nel mondo, magari rendendo marginale la crisi delle vocazioni in questa parte asfittica dell’Occidente sud-europeo e nord-americano. Era la visione di Francesco.
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