“Giorgia 1”, “Giorgia 2” e “Giorgia 3”
Bilancio, Patto di stabilità e Mes: i tre grattacapi di Giorgia Meloni
La premier è a Bruxelles ma deve tenere occhi e orecchie a Roma sui suoi stessi gruppi parlamentari
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“Giorgia 3”, la capopopolo che non riesce a smettere i panni della comiziante, alla fine anche ieri ha messo la testa avanti e oscurato la “Giorgia 1”, la presidente del Consiglio di un paese fondatore della Ue, seria, posata, istituzionale. Ha sventolato in aula come uno scalpo un documento riservato che racconta come nel 2019 l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio abbia, su incarico dal premier dimissionario Conte, dato via libera all’impegno sul Mes. Poi la storia non è così ma è il colpo di teatro a favore di telecamere che conta.
Tutta colpa di “Giorgia 2”, la premier tesa, nervosa e preoccupata per una maggioranza rissosa che sta bloccando la legge di bilancio che a sedici giorni dalla fine dell’anno è ancora in attesa di subemendmenti in prima lettura in Commissione Bilancio al Senato. La Giorgia 2 è anche la premier che ieri pomeriggio è arrivata a Bruxelles per affrontare un Consiglio europeo molto complicato tra politica estera e dossier di politica economica-finanziaria, una matassa peggiore del cubo di Rubik che ingloba le nuove regole europee del Patto di stabilità e crescita e i criteri per l’assegnazione dei fondi del bilancio e, sullo sfondo, il famoso “pacchetto” che mette insieme Mes, unione bancaria e armonizzazione fiscale europea.
Basterebbe già questo piccolo ma intenso elenco per capire il nervosismo di Giorgia Meloni e perché “Giorgia 1”, “Giorgia 2” e “Giorgia 3” non sia un gioco ma la complicatissima dimensione politica-esistenziale della premier che è a Bruxelles ma deve tenere occhi e orecchie a Roma, sul Parlamento, sui suoi stessi gruppi parlamentari. L’incidente è dietro l’angolo nonostante anche ieri la presidente abbia rivendicato le meravigliose performances dell’economia italiana tra crescita (“i migliori in Europa”), occupazione (“al 62%, dati Istat, mai così alta”) e promozione delle agenzie di rating. “Ma se l’Italia cresce e gode di grande prestigio come dice lei – le ha ricordato Matteo Renzi ieri mattina intervenendo al Senato – non si capisce perché la legge di bilancio sia una manovra di austerity e perché, a proposito di prestigio, quando c’era da nominare il presidente della Banca europea degli investimenti siamo arrivati terzi su tre”.
La legge di bilancio è ferma. Da che doveva essere approvata “presto, entro metà dicembre” (sic Meloni) non è ancora chiaro quando arriverà in aula al Senato per la prima lettura. Era prevista il 18. “Ma a questo punto, per come si sta comportando la maggioranza, potremmo slittare ulteriormente”, avvisa Beatrice Lorenzin (Pd), l’ex ministro della Sanità che gira per il Senato con i tomi della Manovra segnati pagina dopo pagina. Premier e vicepremier erano stati tassativi: la maggioranza non presenterà emendamenti. Il governo ne ha presentati quattro. “Uno – prosegue Lorenzin – ha ulteriormente pasticciato la norma sulle pensioni. Non va bene neppure questa versione e se ne renderanno conto”.
I sindacati, medici e infermieri hanno infatti confermato l’astensione dal lavoro (il 18). Un altro emendamento ha tolto 50 milioni dal Fondo migranti e minori per darlo a forze dell’ordine e della difesa per aumenti e indennità. Un altro ancora ha tolto due miliardi e mezzo dal Fondo europeo di coesione per le regioni del sud per darlo al Ponte sullo Stretto sotto forma della partecipazione alle spese delle regioni. “Stanno facendo un pericoloso gioco delle tre carte, a Bruxelles – ha aggiunto Lorenzin – qualcuno potrebbe sollevare obiezioni su come stiamo destinando quei soldi”. Tutto per fare un favore a Matteo Salvini.
Il colmo è stato la paginata e mezzo di nuovi emendamenti che i tre relatori, uno per ogni forza della coalizione, ha presentato nella notte tra martedì e mercoledì. “Col favore delle tenebre”, ha accusato la senatrice Malpezzi. Negli emendamenti dei relatori c’è di tutto: dalle colonnine di emergenza collegate alle forze di polizia al recupero di immobile a Poggio Reale a Trapani all’asilo nido a Montereale Valcellina. Marchette, tranne il fondo per l’Alzheimer (35 milioni) scippato al Pd.
“Il bello è che la somma di questi emendamenti ha un costo pari a 123 milioni mentre il totale a disposizione del Parlamento è cento milioni”, denunciava ieri Stefano Patuanelli, capogruppo M5s. Di questi cento, 60 andrebbero a soddisfare le richieste della maggioranza e 40 per le opposizioni. Ma nessuno ieri poteva scommettere su questa ripartizione. La maggioranza è riuscita per ora a mettere da parte le tensioni sul superbonus edilizio. L’ha spuntata il ministro Giorgetti ma il senatore relatore Guido Liris (Fdi) ha rilanciato: “Ce la faremo nel Mille proroghe”.
A giudicare dalla faccia sorridente di Barelli, capogruppo di Forza Italia alla Camera e primo sponsor della proroga, la soluzione è stata trovata. Con quali soldi, però, non è chiaro. Oggi alle 15 scade il tempo per i subemendamenti. Ma il clima non è buono e sembra difficile far approvare il testo in aula visto che la Commissione Bilancio deve almeno esprimersi sugli emendamenti della maggioranza e sui 2600 delle opposizioni. “Se la Manovra arriva da noi alla Camera blindata il 27 dicembre, giuro che il 31 dicembre alle 12 gliela rimandiamo al Senato, tanto un errore tecnico ci sarà per forza. Non possiamo farci umiliare in questo modo”, la promessa di un senior Pd.
Perché oltre a tutto questo, il Parlamento, dal Senato alla Camera e ritorno, è attraversato dalla pericolosa insofferenza per il totale azzeramento delle funzioni parlamentari. “Altro che riforma costituzionale ed elezione diretta del premier, qui siamo già alla dittatura del premier”, il commento più gentile che arriva al governo dai banchi dell’opposizione. Il colmo è andato in scena ieri sera alla Camera: la maggioranza ha fatto ostruzionismo sugli ordini del giorno del decreto Anticipi per prendere tempo e far slittare, senza rinviarlo, il voto sul Mes.
“Smetta di fare melina, votiamo il Mes, fate esprimere il Parlamento, qual è il problema?”, l’invito retorico di Renzi – e non solo – a Meloni. Eh già, qual è il problema? Di sicuro Giorgia Meloni non può trattare a Bruxelles su Bilancio e Patto di stabilità mentre il Parlamento affossa il Mes con maggioranze per giunta variabili. Quindi la maggioranza deve prendere tempo. E fare ostruzionismo a se stessa. Il Mes oggi è il terzo punto all’ordine del giorno e non può essere votato. Né oggi né domani. Capite perché Giorgia 3 alla fine ha sempre la meglio sulle altre versioni di sé medesima.
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