Il gioco non vale più la candela?
Protocollo Albania approvato: nessuna polemica, tanti dubbi
Il Piano alla fine costerebbe troppo rispetto agli auspicati vantaggi
Da che il Parlamento non doveva neppure vederlo, al disegno di legge che dovrà essere approvato dal Parlamento. Il “protocollo Albania” è stato approvato ieri del Consiglio dei ministri senza incidenti né polemiche. Ma con parecchi dubbi. Il Piano alla fine costerebbe troppo rispetto agli auspicati vantaggi che potrebbe portare. E la sensazione, che inizia a diffondersi anche tra i tecnici del Viminale, è che il gioco non valga più la candela.
Il problema è spiegarlo alla premier che invece un mese fa, quando fece il blitz a palazzo Chigi con accanto il premier Albanese Edi Rama, era così convinta e sicura che, appunto, non aveva neppure previsto un passaggio parlamentare per la ratifica. Le hanno spiegato che non si può fare visto che si tratta di un unicum senza precedenti in Italia e in Europa. E una volta che i tecnici di Interno, Esteri, Giustizia, Economia e Finanze hanno iniziato a scrivere sono venuti fuori i problemi. “Problemini” visto che ieri il Consiglio dei ministri ha licenziato il testo in meno di un’ora e all’unanimità. Attenzione però perché il 30 gennaio la Cassazione si pronuncerà su un altro decreto (Cutro) che prevede il trattenimento-arresto dei non aventi diritto all’asilo e che sono in attesa di rimpatrio. Molti giudici si sono già espressi contro. La parola ora alla Cassazione. Il problema è che il decreto Cutro è il pilastro giuridico su cui poggia il protocollo Albania. Se cada uno, potrebbe cadere anche l’altro. Ecco perché Giorgia Meloni ha fretta: l’obiettivo è approvare il ddl prima della pronuncia della Cassazione. Non facile, neppure probabile. Possibile. I
l Protocollo, quindi. Cominciamo col dire che non è così chiaro e blindato. Non la premier ma nessun ministro infatti ha ritenuto opportuno scendere in conferenza stampa per spiegare i dettagli di questo esperimento giuridico che, nelle intenzioni di Meloni, può diventare “un modello per l’Europa” che poi, “vedrete che ci seguirà”. La Ragioneria dello Stato ha consegnato uno schema di spesa non così edificante: i 2/3 centri in Albania ci costeranno nei cinque anni previsti dal Protocollo 300 milioni di euro per gestire, almeno il primo anno e con buona dose di ottimismo, novemila migranti e non i 36 mila previsti. Troppi, decisamente troppi. Anche per un ruolo di deterrenza (“guardate che andate in Albania e non in Europa”) rispetto ai trafficanti e agli stessi migranti che a questo punto resta l’obiettivo più sicuro. Il cuore del disegno di legge che ratifica il Protocollo si basa sul principio che i centri sono delle enclave italiane in Albania. Sia l’hot spot di Shengjin che, a maggior ragione, il Centro di trattenimento e il Cpr di Gjader, saranno equiparati a territorio italiano come se fossero sede diplomatica. Una cessione temporanea di sovranità da parte del governo di Tirana che in cambio, oltre ai lavori di ristrutturazione dei dieci edifici al momento fatiscenti per un totale di duemila mq, otterrà un occhio di riguardo circa le procedure di ingresso dell’Albania nella Ue.
Dunque quando le navi militari italiane, le uniche abilitate a trasferire nel pos (place of security) albanese-italiano i migranti salvati in mare, arriveranno a Shengjin è cose se arrivassero a Catania o a Lampedusa. E questa è la prima forzatura-novità dal punto di vista giuridico. Una novità però con fondamento giuridico secondo i tecnici che hanno lavorato sul testo. Una volta sdoganato il principio che i centri sono territorio italiano, le altre obiezioni avanzate in questo mese di dibattito dovrebbero cadere una dopo l’altra. I migranti – ma non le donne, neppure i minori e le persone fragili – arriveranno a Shengjin dove saranno identificate. Il Centro sarà recintato con recinzioni di filo spinato alte quattro metri e potrà ospitare fino a 300 persone. Dopo l’identificazione i migranti saranno portato nel Cpr di Gjader dove resteranno per i 28 giorni necessari, con le procedure accelerate, a capire se hanno o meno diritto all’asilo. Dopo i 28 giorni, chi ha diritto torna in Italia.
Gli altri aspettano l’espulsione in un piccolo carcere ricavato tra le caserme di Gjader per 120 posti. Insomma, facendo due calcoli, i posti previsti sono 720 (300 a Shengjin, 300 a Gjader e 120 nel Cpr di Gjader) al mese e non i tremila previsti. Difficile anche rispettare il turn over di 720 al mese perché pare assai difficile rimpatriare 120 persone ogni mese. Di front a tutto questo l’impegno di spesa indicato nel ddl è molto alto: 36 milioni per la realizzazione dei centri, 40 milioni per le forze di polizia, 7,5 milioni per la strumentazione logistica, 8 milioni per la gestione annua, 1,5 milioni per le commissioni d’asilo, e questo solo nel 2024. Negli anni a seguire saranno 50 milioni l’anno. Nel Consiglio dei ministri nessuno ha fiatato e l’approvazione è stata liscia. Vietato fare commenti, però. “Io mi occupo delle mie deleghe” ha taglio corto un ministro dopo la riunione. Il Protocollo albanese dovrebbe essere per Giorgia Meloni il suo jolly nella campagna elettorale delle europee: idee e pragmatismo di fronte al nulla della Commissione. E per mettere a tacere una volta per tutte Salvini. Sarà effettivo in aprile. E quindi potrebbe anche essere un doloroso boomerang se le cose non dovessero andare come immaginato.
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