“La vita si condensa in pochi momenti, e questo ne è uno”, sosteneva il giovane e ambizioso Bud Fox in Wall Street di Oliver Stone, prima di varcare la soglia dell’ufficio del mito degli anni ‘80 Gordon Gekko. E, mai come in questo caso, la stessa frase deve essere rimbombata nella testa di Giorgia Meloni prima di entrare nello Studio Ovale.

Il plauso tedesco

Non è la prima volta che la premier incontra il tycoon: tra i due il feeling c’è, e The Donald l’ha definita “fantastica, persona eccezionale” all’arrivo alla Casa Bianca. Ma a complicare la “special relationship” sono entrati a gamba tesa i dazi imposti da Trump, il rischio di una guerra commerciale con l’Unione europea e il fastidio evidente di alcuni partner europei. C’è chi tende a sminuire il ruolo della presidente del Consiglio, ma in realtà è indispensabile come interlocutore chiave. Lo ha compreso sin da subito la Germania di Merz, che ha immediatamente plaudito all’iniziativa italiana. Von der Leyen negli ultimi giorni ha usato toni poco concilianti, mentre scelse il silenzio quando Macron si recò a Washington per trattare le posizioni future nel conflitto ucraino. Piccoli segnali che fanno capire come gli ostacoli più grandi Meloni li troverà nel dopo bilaterale, rientrando in un’Unione Europea in pieno caos, con tanti aspiranti leader di una fusione di intenti che appare più che utopistica. Il tema dei dazi resta centrale, e la politica commerciale è di competenza europea. Ma non è stato quello l’unico centro del dialogo tra Meloni e Trump.

La freccia in più

Un bilaterale – per sua natura – è un confronto serrato, e questo ha permesso alla premier di giocare a carte scoperte e andare al cuore del rapporto tra Italia e Stati Uniti. Del resto, mentre Meloni arrivava a Washington, New York Times e Cnn davano notizia della lista di sedi e missioni diplomatiche che il dipartimento di Stato prevede di chiudere tra Europa e Africa; una freccia in più nell’arco di Meloni per premere sul ruolo chiave del nostro Paese nell’area tra Piano Mattei e altre iniziative che Roma intraprenderà nel prossimo futuro.

Gli scenari più distanti

Di più: al teatro africano si aggiunge il ruolo da svolgere in Ucraina quando il conflitto sarà finito e nella volontà di definire anche la questione di un sostegno italiano (come già avvenuto sotto Biden) nell’Indo-Pacifico, dimostrando la disponibilità a cooperare in tutti gli scenari, anche in quelli più distanti dalle naturali zone d’influenza italiane. Web tax e 2% del PIL da destinare alla Nato sono due temi dei tre dossier trattati nell’incontro e rappresentano allo stesso tempo due punti cruciali nell’evoluzione dei rapporti. Il bivio a cui si troverà Meloni nei prossimi giorni è naturale: puntare tutto sull’interesse italiano, cercando la costruzione – come vorrebbero gli americani – di una “safe zone” Italia-Usa, oppure giocare la partita ponendo al centro il necessario riallineamento con l’Unione europea. Nell’ultimo caso dovrebbe partire proprio dai soci dell’unica vera Difesa europea e globale in ottica occidentale, già oggi efficace e credibile: la Nato.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.