Il nome di Lin-Manuel Miranda è arrivato sulle bocche degli appassionati di musical e non solo grazie ad uno spettacolo che, da lui creato nel 2015, ha fatto già epoca: Hamilton, ispirato alla vita di Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti. A soli 6 anni da questo grande successo che gli è valso anche il Premio Pulitzer per la drammaturgia e 11 Tony Award, gli Oscar del teatro, Miranda, con all’attivo anche una parte da protagonista in Il Ritorno di Mary Poppins con Emily Blunt, realizza il suo sogno di ventenne e porta sul grande schermo il primo show da lui scritto insieme a Quiara Hudes, In the Heights – Sognando a NY, sulla comunità di latini dove è cresciuto, da portoricano, a Washington Heights, periferia di New York.

Dal 22 luglio al cinema distribuito da Warner Bros e già film di apertura del Tribeca Film Festival di Robert De Niro e delle serate di cinema al TimVision Floating Theatre Summer Fest di Roma, il film è diretto da Jon M. Chu e vede la partecipazione di giovani star come Anthony Ramos, visto in Hamilton, protagonista nel ruolo di Usnavi, anche narratore della storia, Melissa Barrera (Vanessa) al suo debutto cinematografico, la cantautrice Leslie Grace (Nina) e Corey Hawkins. Insieme a loro, veterani del musical come Olga Merediz (Abuela Claudia) e Daphne Rubin-Vega e volti decisamente conosciuti sul piccolo schermo come Dascha Polanco di Orange is the New Black e Jimmy Smits.

Il cast si è concesso alla stampa in una lunga conferenza mondiale. «L’intero film – ha spiegato Lin-Manuel Miranda – è una lettera d’amore a questo incredibile quartiere. È il primo capitolo di così tante storie: le storie americane iniziano da qui. Ho sempre pensato che i temi chiave di In the Heights siano la casa, la comunità e come l’America sia resa migliore dalle persone che vengono qui per iniziare nuovi capitoli della loro vita. Tutto ciò è ancora più importante ora che quando ho scritto lo show per la prima volta». Nel quartiere si intrecciano le storie di chi sogna un futuro migliore per tutta la comunità. Tra questi, oltre a Usnavi che spera di poter aprire il bar che un tempo fu del padre, c’è Nina, la stella universitaria del gruppo, colei che ce l’ha fatta ad uscire dal barrio e che invece vediamo soffrire del non sentirsi parte del nuovo mondo della ivy league americana a cui ha avuto accesso.

Il titolo italiano, Sognando a NY, ben rappresenta il fuoco del film, confermato dai suoi autori Hudes e Miranda. La sceneggiatrice infatti punta dritto alla componente sogno: «Avendo scritto quest’opera per la prima volta 20 anni fa, abbiamo parlato molto di uno dei temi fondamentali dello spettacolo e del film: i sogni. Una cosa che ho imparato lungo il cammino è che il sogno non è il traguardo, non è l’obiettivo finale ma è lo stato d’animo con cui intraprendere il percorso. Quindi la cosa più soddisfacente per noi è fare parte di questa comunità di artisti e l’aver dato voce al quartiere». Lin-Manuel Miranda: «Quando abbiamo iniziato questo percorso io ero spiritualmente legato al personaggio di Nina. Ho iniziato a scrivere il musical durante il mio secondo anno di college e Nina si sente fuori posto, non si sente più a suo agio a casa e non si sente integrata a scuola e io mi sono sentito così in molti posti nella mia vita e spesso mi son fatto le domande che si fanno i nostri personaggi. Non mi sono reso conto che il mio sogno con questo film era diventato realtà fino a che non ho visto lo spettacolo prendere vita a Broadway».

In the Heights è stato scritto da un ragazzo ventenne ai primi anni di università e questo è qualcosa che Miranda ci tiene a rimarcare costantemente, perché la situazione della comunità latina in America è cambiata e per certi versi peggiorata a causa dell’ormai passato governo Trump. È proprio alla luce di questi cambiamenti che Miranda, Hudes e la produzione hanno deciso di ampliare certe storie e dargli maggiore risonanza. Nonostante tutti questi accorgimenti nell’adattamento, tra cui anche una componente queer, Miranda non è riuscito a sottrarsi ad alcune critiche di cui però ha fatto mea culpa su Twitter: l’attore e autore è stato accusato di non aver dato giusta visibilità e rappresentazione, all’interno del film e del cast, agli afro-latini. Il film negli Stati Uniti non ha ottenuto i risultati sperati. Nella speranza che l’Italia lo premi per la forza e la ricchezza della sua multietnicità e per un numero che da solo vale tutto il film, in cui ogni bandiera viene celebrata all’interno del Paese che l’ha accolta, non ci resta che provare a seguire il mantra della matriarca del film, Abuela Claudia, una preghiera che può solo essere utile in questo periodo di incertezze: Paciencia y Fè – Pazienza e fede. Con l’augurio che la diversità venga riconosciuta finalmente come ricchezza.