L'intervista
Carlo Giovannetti, avvocato italiano a New York: “Qui si va in causa su tutto ‘grazie’ al politicamente corretto”
Dopo la laurea in giurisprudenza alla Sapienza nel ’97, arriva nella Grande Mela. Oggi è uno dei migliori nel suo campo, quello del business: «Il mito a stelle e strisce non è finito. C’è ancora spazio per tutti, anche per gli immigrati come me».

Carlo Giovannetti è un avvocato italiano trapiantato negli Usa per caso, laureato all’università la Sapienza di Roma con una tesi in diritto privato comparato, aveva più o meno trent’anni quando nel 1997 arriva a New York per un tirocinio, l’idea era di restarci pochi mesi in realtà è ancora li. Oggi è avvocato americano ed è uno dei migliori se si decide di fare business e investire negli Usa.
Com’era la new York di quando sei arrivato?
«Per me del tutto nuova, non avendo mai avuto il sogno degli Stati Uniti quando sono arrivato ero senza aspettative, ma già dal primo giorno di lavoro in un ufficio al 27esimo piano di un palazzo che affacciava su Central Park ho capito che mi trovavo al centro del mondo, New York era in pieno fermento, una città viva e ti dirò più sicura allora di oggi, la definirei un mix tra Milano e Napoli».
Quali erano le differenze con l’Italia?
«Le differenze erano e sono tante e in tutto, la prima cosa che notai era nell’attenzione alle donne nel mondo del lavoro, erano già avanti e oggi c’è un’attenzione fortissima a tutte le minoranze, etniche religiose e sessuali. È una delle prime cose che dico ai miei clienti prima di cominciare a investire qui, li preparo ad un mondo molto diverso e più complicato».
Attenzioni così forti che spesso scaturiscono nel politicamente corretto.
«Purtroppo è così, qui è forte la mentalità del politicamente corretto ma anche, purtroppo, quella di approfittarsi, gli americani si buttano dove vedono spazio per guadagnare. Negli Stati Uniti si va in causa praticamente su tutto, bisogna stare molto attenti, il livello di litigiosità è altissimo, non ci si muove mai senza un avvocato».
Ti è capitato di occuparti di casi legati a questo?
«Ovviamente sì, casi di molestie sessuali sul lavoro, tra uomo e donna ma anche tra donna e donna. Ti ho detto, spesso se ne approfittano».
Ma il tuo campo è un altro.
«Negli Usa c’è un iper specializzazione nel mondo degli avvocati, ci sono avvocati per qualsiasi cosa, io mi occupo di business, presto consulenza principalmente agli imprenditori, italiani ma anche sudamericani che arrivano qui e vogliono iniziare a fare impresa, soprattutto nella fase di start up, li aiuto a creare le strutture, a organizzarsi dandogli assistenza in qualsiasi questione nel mondo del business».
Quali sono i settori in cui il Made in Italy e gli italiani sono più forti?
«Ovviamente la moda e il design ma anche cose che non ci aspettiamo, penso ai macchinari industriali, l’Italia è molto forte in tutto quello che riguarda il mondo delle costruzioni, poi nel settore dell’informatica o del cripto. In qualsiasi ambiente lavorativo quando meno te lo aspetti ad un certo punto spunta un italiano, ed è sempre un italiano talentuoso».
Gli Usa sono ancora il paese delle grandi occasioni?
«Sì, qui c’è spazio per tutti, anche per gli immigrati come me. Le persone vengono valutate per quello che sanno o possono fare non per il background, se dimostri di sapere cosa vuoi fare avrai sempre un’opportunità».
Resta pur sempre il mondo delle grandi contraddizioni.
«Le contraddizioni qui sono immense come le distanze, ci sono legislature diverse per ogni stato, c’è una fiscalità diversa a livello federale, statale e di contea. Ci sono tre ore di fuso tra una parte e l’altra.
Quando si arriva qui non si conosce questo aspetto di questo immenso paese. Si pensa all’America come New York, Miami o Los Angeles, ma gli Stati Uniti e gli americani sono ben altro. La disparità sociale è molto marcata, ci sono i billionaires e ci sono migliaia di persone che vivono nella povertà, nel degrado più estremo, famiglie intere ridotte per strada o nelle roulotte. Tutto questo nelle grandi metropoli come San Francisco o New York, ed è sempre stato così. Qui la povertà e la violenza sono un grande problema, noi non ce ne rendiamo conto, una situazione molto diversa dalla nostra. Nelle grandi città ci sono intere zone così pericolose da non poterci passare. Penso a città come Detroit che negli anni 50 era la capitale mondiale dell’auto, colpita nel tempo da una crisi così pesante che alcuni quartieri si sono interamente spopolati, i palazzi vuoti, occupati magari da spacciatori sono stati rasi al suolo dai bulldozer, intere aree della città non esistono più, questi sono sconvolgimenti sociali».
Ti capita di parlare di politica con le persone che frequenti?
«Non molto, agli americani la politica interessa poco e comunque è abitudine comune non parlarne per restare sempre neutrali, se non a ridosso delle presidenziali».
Della guerra in Medio Oriente?
«Questo è un tema intoccabile, gli Americani stanno dalla parte di Israele e qualsiasi altra posizione è inconciliabile con il sentire comune».
Dopo 30 anni a New York ti sei trasferito in Florida.
«Con mia moglie abbiamo scelto di spostarci a Miami, ma come noi molti altri durante il terribile periodo della pandemia. La città di New York è stata stesa dal covid, si parlava addirittura di chiuderla. La vita nella grande mela è faticosa, le case sono piccole senza spazi esterni. Io venivo spesso a Miami per lavoro, è stato facile cambiare tutto».
Un tempo in Florida ci andavano i pensionati.
«È tutto cambiato adesso, Miami è in piena espansione soprattutto per quanto riguarda investimenti e imprese, un mondo davvero interessante per il mio lavoro».
Ti senti americano ormai?
«Direi proprio di no, per scelta non ho mai preso il passaporto americano ed ora che ho tre figli soffro del fatto che la cultura italiana non sia la loro cultura principale. Non so se tornerò nel mio paese ma di certo sogno che i miei figli si sentano prima di tutto italiani».
Come vedono l’Italia gli americani?
«Per loro l’Italia è principalmente una meta turistica, patria del buon cibo, di sole e posti bellissimi. Poi per quei pochi che seguono la nostra politica è motivo di ironia, la guardano come una soap opera».
Ti dico delle parole e mi rispondi di getto. Amore.
«I miei figli ovviamente».
Amicizia.
«Tutti gli amici che ho lasciato in Italia».
Passione.
«Mia moglie».
L’ultimo libro che hai letto.
«“Il principe” di Macchiavelli, sono un grande appassionato di storia, avvocato per caso, avrei dovuto fare l’archeologo per cui appena posso leggo libri di storia e letteratura».
L’ultimo film che hai visto?
«Bella domanda, non vedo film perché non trovo il tempo, ma qualche giorno fa lavoravo in un caffè come si usa qui e alla tv davano Guerre Stellari degli anni 80, diciamo che gli ho dato una sbirciata». L’ultimo viaggio che hai fatto?
«Con la mia famiglia in Italia e in est Europa».
Se avessi solo un desiderio quale sarebbe?
«Che smettessero queste guerre terribili, mia moglie è per metà russa e metà ucraina abbiamo molti amici in difficoltà ai quali penso ogni giorno»
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