Come si evince con chiarezza dalla lettura dei suoi considerando, con il regolamento Ue 2022/1854, l’Unione europea ha inteso affrontare l’eccezionale crisi del settore energetico registratasi alla fine del 2021 e durante il 2022, quando il prezzo dell’energia elettrica, in tutta l’Unione, ha registrato una drastica impennata, superando ampiamente i livelli più alti mai raggiunti. Gli strumenti più importanti previsti dal regolamento, per raggiungere le finalità di mitigazione degli effetti dannosi scaturenti dalla crisi, sono – oltre alle misure volte alla riduzione della domanda di gas – il cosiddetto tetto sui ricavi di mercato (artt. da 6 a 11) e il contributo di solidarietà temporaneo (artt. da 14 a 18).

Il contributo solidale

In particolare, il contributo di solidarietà, qualificato come misura temporanea «intesa ad attenuare l’impatto sugli Stati membri, sui consumatori e sulle imprese dell’andamento eccezionale dei prezzi nei mercati dell’energia» (art. 2, n. 19), grava sulle «imprese e stabili organizzazioni dell’Unione che svolgono attività nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffinazione» (artt. 2 e 14). Ossia sulle «imprese o stabili organizzazioni dell’Unione che generano almeno il 75% del loro fatturato da attività economiche nel settore dell’estrazione, della raffinazione del petrolio o della fabbricazione di prodotti di cokeria». Va ancora sottolineato che, pur esibendo dettagliate prescrizioni, il regolamento – immediatamente precettivo e vincolante – riserva agli Stati membri ampi margini di autonomia nella sua attuazione.

Il diritto nazionale

Il legislatore italiano, con l’art. 1, comma 115, della legge n. 197 del 2022, ha esteso l’obbligo del contributo a soggetti della “catena energetica”, diversi da quelli individuati dall’art. 2 del regolamento.

Il contenzioso

Ne è scaturita una serie di controversie in cui si contesta tale inclusione, approdate alla Consulta sia per profili di contrarietà alla Costituzione (artt. 3, 54 Cost.) sia per la ritenuta incompatibilità della norma interna con il diritto europeo (artt. 11 e 117 primo comma Cost.). La Corte Costituzionale ha quindi sospeso il giudizio innanzi a sé e ha ravvisato la necessità di chiedere alla Cgue l’interpretazione delle norme del diritto dell’Unione che incidono sulla soluzione delle questioni sollevate.

Per la Consulta, infatti, si registrano sia argomenti – specie testuali che limitano la platea degli obbligati al contributo – sia “diversi e significativi indici che potrebbero deporre al contrario per la riferibilità delle disposizioni nazionali censurate a quelle del diritto dell’Unione”. Come è facile arguire, si tratta di questioni di assoluto rilievo che involgono soggetti “forti” (le imprese energizzanti) e “soldi veri” (i cospicui contributi solidaristici): basta tanto a segnalare l’importanza della vicenda.

La Costituzione e il diritto europeo

Ma c’è dell’altro. Nel disporre il rinvio pregiudiziale, la Consulta si mostra sempre più consapevole del suo ruolo di Corte dialogante nella rete europea: consolidando il suo recente orientamento (sent. n. 181/2024 e nn. 1 e 7 del 2025) riafferma come il rinvio pregiudiziale alla Cgue, per conoscere la corretta interpretazione del diritto unionale, incida in positivo “sul costante evolvere dei precetti costituzionali”.