Nel Sì&No del giorno ci occupiamo del caso dell’attore Kevin Spacey, accusato di molestie sessuali, assolto nelle ultime ore da tutte le accuse. Dalle accuse a Spacey, mosse i primi passi il movimento #Metoo, mentre Spacey vide la sua carriera sostanzialmente stoppata. Abbiamo chiesto se sia stato giusto rovinare la carriera all’attore all’attivista Veronica Cereda, che è favorevole, e al parlamentare ed avvocato Francesco Bonifazi, che è contrario.

Qui il parere di Francesco Bonifazi.

Un grido di dolore e di vergogna dovrebbe levarsi dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti per ciò che è accaduto a Kevin Spacey. Ma più in generale dovrebbe levarsi un grido di dolore per l’insensata e, ahimè, colpevole compressione dei princìpi di Giustizia che si è verificata in questi due Paesi, caratterizzati storicamente dal sistema di Common Law da sempre antesignano nel riconoscimento dei diritti e nell’esercizio della Giustizia.

Questa assoluzione mi auguro serva a far comprendere che la Giustizia, quella vera, quella che incide sulla vita di ciascuno di noi, si forma solo e soltanto nel Processo, nel contraddittorio tra le parti. La Giustizia non può essere quella emersa dalle parole di improbabili accusatori o, peggio, quella descritta nei caratteri e nelle parole di qualche spregiudicata testata giornalistica, impegnata più nello sciacallaggio mediatico che non nel rispetto del diritto di cronaca. Un sistema, quello della giustizia sommaria, che trova infine sublimazione nel mare magnum, privo di regole e di morale, dei social network. Sempre più spesso, purtroppo anche in Italia, la verità processuale cede il passo alla verità mediatica frutto di una cronaca giudiziaria (per fortuna non tutta) priva di scrupoli e più impegnata ad additare il colpevole che non a ricercare criticamente la verità. Una vita spezzata, anzi correggo, tante vite spezzate; quella di Kevin Spacey, quella della sua famiglia e quella di chi gli vuole bene.

Per anni sotto la scure di una giustizia sommaria, mediatica, Spacey è stato designato dai media come il colpevole di efferati reati che in verità non ha mai commesso. Da carnefice oggi ci accorgiamo che è stato vittima di una giustizia ingiusta, che lo ha leso irreparabilmente nella sua reputazione, nel suo onore, nella sua dignità, oltre ad avergli distrutto la vita professionale. È bene ripetercelo: per tutto il mondo egli è stato, per oltre quattro anni, il “predatore seriale, viscido e spregevole” (così gli atti d’accusa), e oggi, grazie alla Giustizia vera, quella che si esercita davanti ai giudici nel Processo, torna finalmente ad essere Kevin Spacey, un uomo vittima di una distorsione e di un arretramento culturale che sta colpendo tutto l’Occidente e che vede negli Stati Uniti un negativo anticipatore. Per ironia della sorte si potrebbe affermare che Kevin Spacey in questi anni fosse stato confuso col suo personaggio più famoso, quello del politico corrotto, privo di scrupoli e morale. Egli però non lo era, era invece il grande attore che con grande capacità e con grande professionalità ha interpretato il suo carnefice, metafora (il politico corrotto) dello scadimento dei valori essenziali delle nostre società.

Le deriva giustizialista, lo sciacallaggio mediatico, il massimalismo giudiziario rappresentano un’aggressione profonda alla nostra cultura, ai nostri valori giuridici, una vera involuzione. Permettere che la nostra cultura giuridica ceda il passo alla rabbia giustizialista, significa non solo mortificare la nostra storia, ma indietreggiare verso sistemi sommari che abbiamo sempre e giustamente contrastato. Siamo l’Occidente, siamo i figli di culture democratiche, siamo fermi sostenitori dello stato di diritto, per questo dobbiamo reagire con forza a questa spinta verso l’anticultura massimalista, giustizialista, che minaccia ahimè non solo gli Stati Uniti, ma anche la nostra Europa e la nostra Italia.

Francesco Bonifazi

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