Arrivata a Bruxelles nella modalità combat e comiziesca con cui mercoledì ha gestito la giornata in Parlamento, Giorgia Meloni ha capito subito ieri mattina che non era aria. Le immagini ufficiali del Consiglio Europeo ce la consegnano mentre entra nella grande sala al quinto piano dell’Europa Buiding, tailleur con giacca a 3/4 color crema, passo da bersagliera e sfoggia una grande risata con tanto di testa e capelli che si muovono avanti e indietro con qualche leader che le vede arrivare. Un che di ostentato, sembra. Un malcelato nervosismo, forse, visto che prima ancora che la riunione dei 27 abbia inizio (alle 15) la nostra premier ha dovuto fare i conti con due notizie non rassicuranti.

La prima: Ursula von der Leyen ha appena chiarito ai giornalisti che “Polonia e Ungheria non avranno i fondi europei fin tanto che non saranno in linea con le riforme richieste”, dalla giustizia alla libertà di informazione passando per i diritti civili. La seconda notizia arriva da Paschal Donohoe, il presidente irlandese dell’Eurogruppo (i 20 ministri economici con euro valuta). Ha scritto una lettera al padrone di casa, il presidente del Consiglio Ue Charles Michel, per ribadire che “la ratifica (del Fondo Salva Stati, ndr) è centrale per i nostri sforzi e continueremo ad interagire con l’Italia sulla materia”.

Non solo: audito ieri mattina in Commissione affari economici del Parlamento Ue, e avendo avuta eco dell’attacco a tridente del governo italiano, premier e i due vicepremier, contro il Mes, la Bce ha volto chiarire che i Piani di ripresa e resilienza già concordati devono essere attuati, “a cominciare dall’Italia”. E che “dobbiamo ridurre l’inflazione preservando lo spazio per gli investimenti”, cioè il Pnrr. È un pro-memoria chiaro per la premier e la sua squadra di governo. A cui si aggiungono le nuove, rinnovate, pressioni per la ratifica del Mes. “Tutti gli Stati sono d’accordo a concludere i lavori sull’unione bancaria, e questo passa attraverso l’attuazione quello che è stato concordato”. Quindi, ratificate e poi passiamo all’unione bancaria. “Ho grande rispetto – è sempre Donohoe a parlare – per il governo italiano quando dice che non vuole accedere ai nuovi strumenti in futuro” ma “è importante capire che la ratifica permette ad altri Paesi di accedere a certi strumenti”.

Ecco Pnrr e Mes non sono in agenda al Consiglio Ue ma la premier Meloni ha inteso subito che questi due giorni non saranno per lei una passeggiata. L’ufficialità del rinvio – a ottobre, comunque in autunno – della ratifica del Mes comincia ad indispettire gli altri Paesi. “L’Italian game” ormai è chiaro: usare il Mes per alzare il prezzo ed ottenere di più sulla riforma delle regole del Patto di stabilità. Ad esempio evitare una quota fissa di riduzione annuale sul debito (cosa che ad esempio vuole la Germania nella quota dell’1%).

Al suo arrivo all’Europa building Meloni ha detto di essere “positiva” rispetto alla riunione. “Le conclusioni (il documento di sintesi degli sherpa su cui si avviano i lavori ndr) sono per noi un ottimo punto di partenza”. Su ogni dossier: sulle migrazioni “perchè è ormai consolidato il nostro punto di vista della questione, cioè si tratta di un problema europeo a cui per cui è necessaria una risposta europea”. Sulla “flessibilità nell’utilizzo dei fondi per quello che riguarda la materie economiche”. Sulla Tunisia, che figura nel capitolo “relazioni istituzionali (e non in quello migrazioni, ndr) perchè è da qui, dai rinnovati rapporti economici e finanziari con Tunisi che passa la stabilità da quel paese” dalle cui spiagge partono ogni giorno decine di barchini. Ma una cosa sono le conclusioni. Altro le reali decisioni del Consiglio.

Ucraina e Nato, i primi dossier ieri discussi, l’Italia è allineata e non perde posizioni. La partita economica, a cui sono legati ed intrecciati Mes e Pnrr, è in programma oggi. Intanto ieri il ministro Fitto ha incontrato il commissario Gentiloni cui mercoledì era stato riservato il non gradevole commento circa “il mancato controllo sulle scelte del Pnrr fatte da Mario Draghi”. Accusa pesante, fatta dalla premier in aula, e che ha destato sorpresa e irritazione a Bruxelles. Purtroppo è ancora fumata nera e l’assegno della terza rata, dato da settimane come “imminente”, non sarà staccato neppure questa volta. Qualcuno, vicino al governo, aveva scommesso sul colpo di scena tra ieri e oggi, a coronare il successo della missione europea. Ma ancora ieri sera non c’era traccia di una decisione della Commissione in tal senso. E certo gli attacchi interni non fanno bene al dossier. Farsi qualche domanda e darsi delle risposte.

Non è che se noi intendiamo usare il Mes come arma di ricatto, Bruxelles ci fa penare sulla rata del Pnrr? Se così fosse – ma non sarà – ci rimette l’Italia visto che i 35 miliardi, divisi in due rate, del 2023 sono già computati in tutti i bilanci. Dunque, nessuna novità sui 19 miliardi della terza rata (19 mld, scaduta il 31 dicembre scorso). E nessuna novità sulla quarta (16 miliardi) legata ai 25 obiettivi che scadono oggi. Come nulla si sa sulle modifiche del Pnrr, “non ci sono indicazioni nel dettaglio” dicono fonti Ue. Per la quarta rata l’Italia corre il rischio di non riuscire a ottenere i fondi relativi entro l’anno.

Capiremo meglio oggi come va con la Tunisia: l’Europa sta per staccare un assegno al presidente Saied il quale però non avrebbe alcuna intenzione di fare ciò che gli chiede l’Europa: riprendersi i migranti che arrivano clandestinamente in Italia e in Europa. Bruxelles, l’Italia, chiedono alla Tunisia di diventare un’altra piccola Turchia. E se il progetto è chiaro, la sua realizzazione è ancora molto lontana.

Claudia Fusani

Autore