Il 44ene Marco Zemmaro detenuto da quasi 11 settimane
“Centinaia di persone ammassate in cella”, l’incubo dell’imprenditore italiano detenuto in Sudan

Marzo Zennaro è detenuto da oltre due mesi in Sudan. E’ un imprenditore veneziano di 46 anni. Un affare andato storto è diventato praticamente un caso internazionale. Un giudice ha stabilito che dovrà rimanere prigioniero fino a quando dall’azienda veneta per la quale lavora non arriveranno garanzie bancarie sulla disponibilità di 800mila euro. La Farnesina sta trattando sulla situazione che resta delicata, estrema.
È cominciato tutto per una vertenza commerciale. L’azienda veneta per la quale lavora il 46enne è attiva sul territorio da 25 anni. Intrattiene rapporti commerciali solo con il distributore locale, la ditta Al Gallabi, il cui titolare Ayman Gallabi aveva lamentato a metà marzo una partita di trasformatori elettronici non conforme agli accordi. La fornitura destinata alla Sedc (Sudanese Electricity Distribution Company) aveva un valore di oltre un milione di euro. Quando Zennaro è arrivato in Sudan per dirimere la questione ha trovato in albergo miliziani armati.
In un primo momento la disputa sembrava essere stata chiarita per 400mila euro al distributore locale. Quando il primo aprile stava per rientrare in Italia Zennaro è stato però fermato in aeroporto e trasferito in commissariato. È stato denunciato penalmente e civilmente di frode dalla Sedc, con la quale Zennaro non ha mai trattato direttamente. E nel frattempo, il 22 maggio, è stato ritrovato il cadavere di Gallabi, il distributore, nel Nilo.
Martedì 1 giugno il 46enne è stato trasferito da una cella di sicurezza di un commissariato al carcere. Era stato prigioniero per 62 giorni e altrettante notti, abbandonato sul pavimento. Luigi Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero del ministero degli Esteri, ha guidato la missione della Farnesina ma un giudice di Khartum ha respinto la richiesta di arresti domiciliari in albergo. L’udienza è stata fissata al 10 giugno. Mai nessuno pare abbia più visto quei trasformatori alla base della vicenda.
La Sedc è diretta da un parente stretto del generale Mohammed Dagalo, vice presidente del governo di transizione del Sudan che nel 2019 ha deposto Omar Al-Bashir, al potere per 30 anni. Il Corriere della Sera ha pubblicato in esclusiva alcune dichiarazioni dell’imprenditore, che per otto ore ha aspettato nel Palazzo della Corte, in uno stanzino sottoterra, senza acqua né gabinetto, la decisione del giudice, prima di intraprendere un viaggio di un’ora e mezza in una camionetta con 40 persone.
“Arrivo in carcere, ho paura. Non so cosa mi aspetta. Nessuno sa nulla, non ho telefono e nessuno parla inglese. Mi hanno fatto attraversare il settore degli omicidi, spacciatori e criminali: un inferno di 700-800 corpi ammassati uno a ridosso dell’altro. Alla fine mi mettono nella sezione di reati penali con giustificazione finanziaria. Ci saranno 200 persone. Mi hanno preso in cura tutti i miei nuovi compagni perché hanno detto di aver visto un morto. Sono ostaggio di un sistema senza regole. Vi prego riportatemi a casa dalla mia famiglia”.
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