Classe 1978, originario di Torre del Greco, Salvatore Bianco è l’executive chef de Il Comandante, il ristorante gastronomico che domina la città dal decimo piano del Romeo Hotel di Napoli. Un luogo spettacolare, frutto delle idee avveniristiche dell’architetto Kenzo Tange e dell’iniziativa dell’imprenditore campano Alfredo Romeo.

Premiato nel 2012 con la stella Michelin, Bianco propone i sapori e i profumi del Golfo di Napoli, associati a ingredienti e suggestioni di altre culture e realizzati con tecniche di cottura all’avanguardia. «Comincio a girovagare tra alberghi e ristoranti in cerca di esperienze fin da piccolo, quando ancora studiavo alla scuola alberghiera di Vico Equense», racconta Bianco. «A 14 anni esco per la prima volta dalla Campania e prendo il treno in direzione di Madesimo, in Valchiavenna, quasi al confine con la Svizzera. Devo dire grazie a papà che ebbe il coraggio di lasciarmi andare via così giovane».

Dopo il diploma, il giovane cuoco gira il mondo, con le idee molto chiare: «Le esperienze eterogenee sono necessarie, così come la programmazione: ho creato un percorso coerente per frequentare strutture e organizzazioni diverse». Bianco lavora in Svizzera, Francia, Italia e Germania, prestando servizio anche al Palace di Saint Moritz, uno degli alberghi più importanti del mondo. «Ho fatto esperienze con chef stellati, come Antonio Guida e Gualtiero Marchesi. Ma – confida – le considero equivalenti a quelle realizzate in cucine meno famose. Dalla cucina più semplice a quella più impegnativa, tutti i professionisti mi hanno permesso di apprendere qualcosa».

Il risultato è una cucina articolata, ispirata da influenze diverse. «Definirei la mia come una cucina di rispetto integrale della materia. Metto le tecniche che ho appreso al servizio dell’ingrediente». Al centro della cucina de Il Comandante, insomma, c’è sempre la materia prima. «Pensiamo a un semplice gambero: è fatto di interiora, cervello, carapaci, ecc. Mi piace usare tutte le parti del prodotto: l’essenza della materia arriva anche dalle parti meno nobili». La cucina di Salvatore Bianco concilia l’apertura al mondo, una tecnica raffinata e il senso della memoria. «Il cliente vuole fare un viaggio per conoscere nuovi sapori, ma la cucina serve anche per suscitare ricordi. Mi piace scavare nella memoria dei piatti assaggiati in gioventù per ridestare antiche emozioni».

Un esempio? «Tra i miei piatti c’è un ragù che sembra il classico napoletano anche nel gusto, ma è realizzato con ingredienti vegetali. L’obiettivo è di riproporre l’umami della carne e del pomodoro, ma senza la carne. Lo abbiamo addizionato con funghi shiitake, miso, soia, caffè e tabasco: una miscela addizionata a un pomodoro che asciuga diverse ore servito con una salsa di finto parmigiano lavorata con l’azoto liquido. Quando lo mangio sembra il ragù della nonna».

Insomma: pensiero e tecnica, ma anche storia ed emozione. Con un forte richiamo alla cucina dell’infanzia, quella napoletana. «A Napoli difficilmente mangi male. In ogni famiglia c’è un o una grande chef. I nostri ospiti sono molto preparati: abituati a una cucina alta perché già mangiano bene a casa propria. E poi Napoli, dalla pizza ai fritti, è una delle capitali mondiali dello street food». Insomma, non era semplice per un giovane chef farsi spazio in un luogo così ricco di tradizioni gastronomiche. «Sono entrato in punta di piedi chiedendomi: sarà pronta Napoli ad affrontare idee nuove? Ho cominciato a farmi conoscere pian piano, con innovazioni graduali. Oggi abbiamo la conferma che otto anni fa siamo stati dei pionieri».

Nel frattempo, però, i ristoratori sono stati travolti dalla crisi provocata dal coronavirus. «Dopo un anno di chiusure i danni sull’indotto sono irreversibili. Molte strutture non sopravviveranno. Ne soffriremo le conseguenze per anni». E la vostra? «Noi abbiamo alle spalle un’azienda importante che ci sostiene. Abbiamo riaperto dopo il primo lockdown con un grande investimento sulla sicurezza dei dipendenti e degli ospiti, addirittura con una postazione medica per svolgere esami sierologici. Purtroppo le scelte del governo hanno imposto comunque la chiusura». Ma per Bianco è stato un errore: «Si potevano segmentare le offerte valutando le diverse tipologie di servizio. Questo non è successo, portando alla catastrofe generale. Il passivo è enorme e gli aiuti sono poca cosa rispetto a quanto servirebbe per sopravvivere». Il Comandante ha deciso di non fare delivery: le caratteristiche della ristorazione di qualità non lo consentono: «Ma in vista della riapertura stiamo preparando cambiamenti nel menu e nelle attrezzature».

Il ristorante guidato da Salvatore Bianco si trova sul rooftop del Romeo Hotel, un luogo suggestivo dove dialogano arte, storia e design. Qui, per esempio, è possibile godere della vista di opere uniche di artisti mondiali come Chagall, Guttuso, Warhol, Schifano. L’albergo offre diversi servizi al top: il salotto dei giochi, una palestra iperattrezzata, la spa ospitata nella ex Dogana del sale adiacente all’hotel, ambienti impreziositi da rifiniture di qualità e da pezzi di design antico e moderno, la piscina riscaldata al nono piano dalla quale si gode la città, due cantine, una cigar room, un secondo ristorante più tradizionale e tanto altro ancora. Nonostante il covid, l’azienda non smette di puntare a nuovi obiettivi.

La prossima apertura sarà a Roma, in via di Ripetta, a pochi passi da piazza del Popolo. «Ancora una volta c’è l’idea di miscelare arte, design e storia», spiega lo chef Bianco. «La struttura può contare su un design unico, concepito dalla nota archistar iraniana Zaha Hadid, scomparsa nel 2016». Circa 80 camere con spa, piscina e due ristoranti: un ristorante “gastronomico” e un all day long “dalla cucina dinamica e veloce”. In più, avverte Bianco, «un giardino interno, che a Roma è una rarità, con possibilità di pasti veloci». E la cucina? «Riprenderà il format del Comandante di Napoli con una rilettura del territorio laziale», promette lo chef.

E mentre si prepara per l’ennesima sfida, ci resta una curiosità: qual è, infine, la più grande passione Salvatore Bianco? «Vengo da Torre del Greco, a pochi metri dal mare. Amo lavorare il pesce più di ogni altra cosa. Certo, chi nasce in Campania ha la fortuna di contare su ottimi prodotti, sia di mare che di terra. Una mescolanza che spesso si ritrova nei piatti». Tuttavia, rimarca, «la mia passione è il mare. il mare è sincero: ciò che arriva dal mare sappiamo da dove arriva». Sincero come lo chef Bianco: sappiamo da dove arriva e, dai suoi piatti di rara eleganza, sappiamo quanta strada ha percorso.

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