Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta del deputato Mauro Del Barba di Italia Viva al commissario Domenico Arcuri sulle mascherine.

Pregiatissimo Commissario Arcuri, ho ascoltato e riascoltato con grande attenzione la sua audizione presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati, di cui sono membro, tenuta il giorno 29 aprile 2020 con particolare riferimento al tema delle mascherine ed alle risposte da lei fornite alle domande dei commissari.

Partiamo dagli aspetti condivisi per giungere alle criticità che mi pare rimangano sul tavolo.

E’ obiettivo politico largamente condiviso nel parlamento, e sicuramente dalla forza politica di cui sono rappresentante, quello di creare una filiera italiana della produzione di mascherine fino a coprire il 100% del nostro fabbisogno. Su questo punto ogni azione che le istituzioni possano intraprendere sarà lodevole e andrà sostenuta.

Allo stesso modo è altrettanto necessario difendere i consumatori, sia in questa delicata fase che per il futuro, da speculazioni di mercato che mettano famiglie e imprese di fronte a prezzi non corrispondenti ai reali valori di mercato.
Entrambi gli obiettivi trovano la nostra piena condivisione e sostegno.

Dentro questa cornice di piena condivisione, desidero segnalare alcune questioni urgenti e problematiche che l’audizione non solo non ha sciolto, ma ha in molti aspetti confermato e che a questo punto richiederebbero dei chiarimenti definitivi.

Da una parte vi è la vicenda dei sequestri sulle importazioni: per quanto se ne comprendano le ragioni e le necessità, soprattutto nella fase in cui i presidi mancavano ad ospedali, case di riposo, protezione civile, occorre chiarire definitivamente come mettere in salvaguardia gli importatori onesti che sono stati scoraggiati dalla spada di damocle dei sequestri. Si chiarisca definitivamente se tale opzione continuerà ad essere utilizzata e in quale modo nella consapevolezza che molti importatori che avrebbero poi distribuito su canali di mercato interni le mascherine hanno al momento sospeso questi approvvigionamenti. Possiamo rinunciare a questo apporto?

Lato produzione italiana, invece, restano sul tavolo almeno due grandi criticità che la sua audizione non affronta.

La prima: la differenziazione di prodotti dal valore manifatturiero ben differente, ma appartenenti alla stessa categoria o, altrimenti dette, mascherine (chirurgiche certiticate o con processi di certificazione in corso) tessili riutilizzabili assimilate in termini di prezzo di vendita a mascherine usa e getta, queste ultime ulteriormente differenziabili per qualità del prodotto.

Sembrerebbe assolutamente necessario e urgente chiarire queste macroscopiche differenze che le attuali definizioni normative potrebbero confondere in modo improprio e che, allo stato, stanno comportando molteplici effetti negativi e contrari agli obiettivi condivisi ricordati in apertura, quali: abbandono volontario del processo di certificazione per evitare accostamenti alla ordinanza di sua competenza e di conseguenza mantenerle nel mercato delle mascherine igieniche o di comunità, con perdita di potenziali mascherine idonee ai lavoratori, sospensione della produzione in attesa di chiarimenti, vendita sul mercato estero.

La seconda, di una certa gravità, riguarda tutte quelle aziende diverse dalle 108 imprese da lei ricordate, che hanno generosamente deciso di investire del proprio denaro raccogliendo lo spirito del DL cura Italia, art. 15, per produrre ed immettere sul mercato mascherine certificate italiane. Molte di queste aziende si trovano nelle condizioni di aver pianificato o realizzato investimenti ed acquisti di materiale di consumo per sovvenire alle esigenze del nostro stato in un momento di grande emergenza che ora le pongono in condizioni di produrre mascherine certificate a prezzi di produzione superiori a quelli stabiliti per la vendita.

Ora la sua audizione, sebbene abbia chiarito di voler opportunamente intervenire presso i luoghi di commercio (solo le farmacie?) che abbiano acquistato prodotti prima del provvedimento a prezzi superiori a quelli di vendita, non tratta minimamente la situazione citata, che appare ben più grave sotto molteplici aspetti, non ultimi l’entità degli investimenti effettuati. Anche in questo caso si determina, nei fatti, una situazione contraria agli obiettivi dichiarati che porta gli imprenditori a fermare la produzione di mascherine in un momento in cui, a quanto risulta, ancora il bisogno è molto alto con grande scoramento di chi con generosità ha raccolto un grido d’allarme delle istituzioni e seguito una indicazione largamente promossa sia a livello nazionale che regionale.

Sarebbe dunque estremamente opportuno, nonché necessario, fornire chiarimenti radicali e definitivi a questa categoria di imprenditori ed ai cittadini stessi.

In particolare, avendo lei dichiarato che oggi il 25% del fabbisogno è coperto da produzione italiana, sarebbe utile capire se questo censimento si riferisca alle sole aziende da lei citate ed oggetto di contratto oppure all’intero comparto nascente diversamente censito. Allo stesso modo quando dichiara che entro l’estate il 100% dei dispositivi sarà prodotto in Italia. Una notizia bella e confortante, ma che allo stato lascia aperto lo stallo che le ho descritto sopra.

Analogamente sarebbe opportuno chiarire se la sua affermazione per cui il costo di produzione di una mascherina sarebbe di 5 centesimi e il prezzo di vendita medio in fabbrica di 38 centesimi intenda dare un avvertimento al mercato ed a tutti i produttori circa il fatto che in futuro solo chi veleggia su queste cifre potrà cavarsela. Tutte informazioni utili e preziose, che però, allo stato, destano confusione e scoramento con l’effetto pratico di bloccare molte produzioni.

Gli imprenditori che si sono mossi rischiano attualmente di vedersi accostati agli “speculatori”, categoria che tutti vogliamo combattere, per il semplice fatto di aver investito, spesso regalato le prime mascherine prodotte, senza trovarsi oggi nelle condizioni oggettive di aderire ad una nuova, improvvisa e da lei stesso definita inconsueta norma di imposizione di un prezzo.

Nei loro riguardi abbiamo almeno il dovere della chiarezza e del ristoro: se questi imprenditori fossero divenuti superflui glielo si dica con chiarezza. Nessun elemento della sua relazione lo lascia dedurre con certezza, nemmeno il roboante numero di 660 milioni di mascherine che non è chiarito su quale arco temporale saranno rese disponibili e a fronte di quale fabbisogno stimato.

E’ interamente politica e non tutta sua la responsabilità di fornire questi doverosi chiarimenti e al momento il parlamento, che sta convertendo il DL cura Italia, non è nelle condizioni di avere gli elementi di conoscenza per indicare alle nostre imprese la via da seguire, nell’interesse primario dei cittadini e nella salvaguardia dei loro stessi investimenti.

Una prima risposta alle domande sopra elencate potrebbe aiutare in questo nostro lavoro.