Le differenze
Cisl riformista, Cgil disfattista. Il compagno Landini sembra Schelin, la sua arringa è campagna elettorale
Il sindacato guidato da Luigi Sbarra esulta: accolte diverse richieste nella Legge di Bilancio Mentre il compagno Maurizio, tra allarme democratico e catastrofismo perenne, sembra Schlein
Nella polemica tra i partiti sulla manovra si inserisce lo scontro tra sindacati, spaccati sulla valutazione dei provvedimenti del governo. Il botta e risposta a distanza tra Maurizio Landini e Luigi Sbarra fotografa una sostanziale differenza: da una parte il catastrofico pessimismo di Cgil e Uil contro l’esecutivo; dall’altra l’approccio riformista e critico nel merito della Cisl. E non è un caso se più di qualcuno si chiede se il compagno Maurizio indossi la casacca da sindacalista o da uomo politico dell’opposizione.
L’arringa di Landini sembra un comizio da campagna elettorale. «Questo è un momento importante e pericoloso perché i provvedimenti che ha fatto questo governo, non solo con la Finanziaria, sono pericolosi per la tenuta democratica». «Il governo pensa di attaccare la magistratura anziché colpire gli evasori fiscali o quelli che sfruttano il lavoro. Siamo di fronte a un attacco all’idea che la magistratura debba essere autonoma e indipendente, ma deve rispondere alla politica. Sono regressioni pericolose che non abbiamo intenzione di stare a guardare». Non ci si può distrarre un secondo o si corre il rischio di restare spiazzati, senza capire se si sta leggendo una dichiarazione del segretario della Cgil o di Elly Schlein. Ormai l’appiattimento è totale anche sull’imminente deriva autoritaria. Anzi, forse soprattutto su quella.
E così è un’eterna sensazione di terrore, di paura, di agitazione. Sempre a muso duro, sempre con il mugugno. La manovra è tutta da buttare via. E vai con lo sciopero. La democrazia è sotto attacco. E vai con l’allarme. I giudici sono nel mirino dell’esecutivo. E vai con lo scudo a difesa delle toghe. Anche Sbarra è disorientato dal ruolo di Landini e gli indica la rotta per ritrovare la strada smarrita: «Gli consigliamo di rivestire i panni del sindacalista e di non fare da traino a un’opposizione politica che non ha davvero bisogno di collateralismi». L’effetto boomerang è sotto gli occhi di tutti: «Si rischia in questo modo di fare un danno sia ai partiti sia alla rappresentanza sindacale, che perde di credibilità e autonomia».
Il segretario generale della Cisl, ribadendo il giudizio «complessivamente positivo» sulla Legge di Bilancio, smentisce anche il fatto che i sindacati sarebbero stati chiamati solo a cose fatte: «L’interlocuzione con i vari ministeri è stata continua e il 25 settembre, all’incontro con il governo in Sala Verde sul Piano strutturale di Bilancio, abbiamo ribadito quello che volevamo dalla manovra». Dunque, senza disfattismi e urla a squarciagola, la Confederazione italiana sindacati lavoratori ha portato a casa diverse richieste messe sul tavolo: la conferma (ora strutturale) del taglio del cuneo fiscale, la proroga dell’accorpamento delle due aliquote Irpef, il ritorno alla piena indicizzazione delle pensioni, la continuità della detassazione sui premi di risultato. Certo, non è una manovra da 10 in pagella. E infatti Sbarra chiede più sforzi sulle pensioni minime, sulle risorse per la non autosufficienza e sull’eliminazione dei tagli strutturali agli organici della scuola. Ma è la dimostrazione che con un atteggiamento serio e istituzionale si ottiene molto di più che con un perenne disfattismo da muro contro muro.
Maurizio Lupi, presidente di Noi moderati, ritiene che lo sciopero indetto da Cgil e Uil per il 29 novembre sia di carattere politico: «Sarebbe stato più utile e sicuramente più produttivo scegliere la strada del confronto». Confronto che avverrà martedì pomeriggio alle ore 17, quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni riceverà a Palazzo Chigi le sigle sindacali sul disegno di Legge di Bilancio. Proviamo a scommettere sul copione che Landini&Co reciteranno al termine del vertice: incontro tardivo, risposte insufficienti, proposte non accolte. E, ovviamente, si tira dritto senza passi indietro: tutti in piazza.
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