A Praga il vertice per arginare la crisi energetica
Come fermare il rincaro delle bollette, l’Europa finalmente si sveglia
Lo stallo è finito. Finalmente i due blocchi si parlano, hanno compreso che i prezzi di luce e gas devono scendere. Le piazze italiane con i falò delle bollette; le fila in Francia ai distributori dove la Total s’è inventata la giornata degli sconti benzina; anche la mossa disperata del cancelliere Scholz che rompe accordi e patti e mette sul tavolo 200 miliardi di debito per i tedeschi: sono tutte immagini di un’Europa piegata.
L’opposta di quella che seppe reagire unita alla pandemia. Di quella che è arrivata compatta a otto pacchetti di sanzioni alla Russia. Non certo l’Unione di paesi forti delle loro democrazie. Putin si frega le mani con i falò e le code ai distributori, sono la sua ultima residua speranza. E allora anche l’Europa alla fine ha capito di doversi muovere. Il sorriso prolungato e le braccia alzate in segno di saluto di Mario Draghi mentre la delegazione italiana fa il suo ingresso nel magnifico castello di Praga, location del vertice informale Ue sotto la presidenza ceca, sono i segni di quel linguaggio del corpo di chi alla fine, dopo mesi di insistenze, capisce che forse ce l’ha fatta. Seppure all’ultimo miglio. Che resta ancora insidioso.
Il vertice di Praga è informale – non saranno prese decisioni ufficiali – ma è chiaro dalle dichiarazioni e dai non-paper (documenti non ufficiali) che stanno circolando che il prossimo Consiglio Ue (20-21 ottobre) sarà quello delle scelte. Che andranno nella direzione indicata dalla presidente Ursula von der Leyen nella lettera ai 27, ovvero tre diversi price cap: un tetto negoziato con i fornitori; una limitazione dei prezzi legati all’indice Ttf del mercato di Amsterdam; un cap specifico sul gas che determina il costo, altissimo, dell’elettricità. Se quest’ultimo è il primo passo di un riforma generale del mercato dell’energia che dovrà essere completata entro la fine dell’anno (il disaccoppiamento dei prezzi tra gas ed elettricità), anche la limitazione ai prezzi della borsa di Amsterdam (il Ttf) è il primo passo di una riforma più vasta delle borse dove si scambia energia. Non solo il gas. Anche il petrolio.
«Dobbiamo lavorare insieme per affrontare la crisi energetica, possiamo anche farlo in ordine sparso, ma perderemmo l’unità europea», ha detto Draghi alla tavola rotonda della prima riunione della European Political Community (esordio a Praga per questo nuovo format allargato ad altri 17 paesi non Ue ma dell’area geopolitica europea, compresa Gran Bretagna e Turchia, Ucraina e Serbia) dedicata al tema “Energia, clima, economia”. Intorno al tavolo c’erano i leader di Germania, Portogallo, Irlanda, Belgio, Bulgaria, Liechtenstein, Norvegia, Ucraina e Serbia. Il primo giorno del vertice di Praga è stato dedicato al nuovo format allargato: prima una riunione plenaria e poi due tavole rotonde su pace e sicurezza e su energia, clima ed economia. Il giorno degli annunci più ufficiali sarà oggi, quando i 27 si vedranno in forma ristretta per decidere il mandato da dare alla Commissione e poi presentare a stretto giro di posta le proposte regolamentari.
La notizia è che lo stallo è finito perché i due blocchi contrapposti hanno capito non avrebbero ottenuto nulla. Da una parte i fautori del ‘price cap’ secco al gas importato, il tema che il premier Draghi ha cavalcato fin dalla primavera e che ha trovato d’accordo ben 14 governi compreso quello francese. Dall’altra parte Germania, Olanda, Danimarca da sempre contrari a limitazioni del mercato da economia di guerra. La linea von der Leyen, i tre diversi cap, ha scelto un terreno di confronto diverso che può soddisfare entrambi i blocchi. Dopo mesi di reticenza la Commissione europea ha accettato l’idea di una limitazione del prezzo del gas e si avvicina alla posizione dei Quindici. Non si profila un price cap secco e generalizzato, si parla appunto di “una limitazione del prezzo in relazione al TTF in un modo che assicuri la fornitura di gas”. Si indica esplicitamente un “cap” per il gas da usare per la produzione di elettricità. Più in generale, si ipotizza una “forchetta di prezzo” o “corridoio” flessibile e dinamico, “frutto del riferimento a indici complementari al TTF olandese”. È l’addio al monopolio di Amsterdam.
Il passo della presidente della Commissione è considerato dall’Italia positivamente. Draghi e von der Leyen ieri si sono visti in un bilaterale. Al termine il Presidente non ha fatto commenti ma è sembrato “ottimista”. Sarebbe, per Draghi, l’uscita di scena che merita: il price cap, nelle sue varie forme, era il bazooka suggerito fin da gennaio. Se così fosse, si capisce anche perché il summit del 20-21 ottobre non poteva essere l’esordio europeo di Meloni. La prospettiva di una limitazione del prezzo del gas sarebbe parte di un complesso di altre misure che dovrebbero incidere a monte sulla formazione del prezzo: negoziati con i fornitori amici e credibili (non come la Russia e su questo punto ieri von der Leyen e il premier norvegese si sono impegnati insieme a “nuovi strumenti per stabilizzare i mercati dell’energia”), acquisti in comune, nuovo benchmark di più indici a confronto oltre il Ttf, in prospettiva disaccoppiamento fra prezzo del gas e prezzo dell’elettricità.
Il cauto ottimismo di Praga soffia anche in Italia. Certo, gli effetti reali per famiglie e imprese non saranno percepiti prima di novembre-dicembre. E quindi Meloni dovrà fare subito un decreto Aiuti. Il quarto. I contatti con il Mef sono costanti per trovare le risorse necessarie che potrebbero arrivare a circa venti miliardi. Senza fare scostamenti di bilancio. Questo almeno l’impegno a oggi. Le notizie sul gas spengono subito l’altra polemica, quella sui “ritardi” del Pnrr. Draghi li ha categoricamente smentiti e Bruxelles ha confermato la “piena concordanza degli impegni italiani con il cronoprogramma fissato”. Come dimostra il pagamento delle rate. Non solo: il premier ha ribadito come il Pnrr “è patrimonio del paese e non di questo governo o dell’altro”. Chi perderà questa occasione di rilancio, ne sarà responsabile.
Così ieri Meloni ha corretto il tiro: «Mi sembra esagerato parlare di scontro con Draghi. Non ho mai detto che il Pnrr è in ritardo, ho detto, perché è scritto nella relazione della Nota di aggiornamento, che entro la fine dell’anno noi spenderemo 21 dei 29,4 miliardi disponibili. E che quindi dobbiamo fare di più e meglio». Se qualcuno, nel tempo che verrà, pensasse di mettere le mani, in un modo o nell’altro, sui soldi del Pnrr provando a cambiare progetti e obiettivi, deve sapere che quel Programma è blindato. Dobbiamo farlo e basta. Sarebbe il più grande successo per qualunque governo. Al contrario, le agenzie di rating hanno già previsto che l’Italia sarebbe quotata “spazzatura”.
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