E veniamo, così, alle ragioni di una prospettiva, quella della rotazione, capace di arrestare ”a costo zero” la deriva descritta, attraverso un sistema inclusivo costruito sulla giusta e doverosa partecipazione orizzontale di tutti i colleghi nella gestione degli uffici.  Innanzitutto, nulla osta, Costituzione alla mano, a che ogni magistrato dotato di congrua anzianità (10-15 anni) possa essere chiamato – a turno – a dare il proprio contributo nell’Ufficio in cui opera, per due o tre anni, mettendo a disposizione dei colleghi quanto appreso specie in situ. Né si dica che il dirigente “scelto” dal Csm è in grado di assicurare risultati migliori di quelli ottenuti con le risorse interne, specie quando questo viene scelto “sulla carta”, avendo operato altrove e nulla sapendo di concreto dell’ufficio a cui è destinato. Che la rotazione sia, poi, l’unica misura idonea ad assicurare l’indipendenza interna del magistrato lo aveva già acutamente intuito Napoleone Bonaparte che, nell’elaborare gli ordinamenti giudiziari delle Repubbliche Cisalpine, aveva previsto la rotazione annuale tra i suoi membri dell’incarico di presidente del Tribunale di Milano, al fine esplicitato di assicurare l’effettiva parità dei giudici. E ancora, nella medesima direzione, va il recente disegno di riforma della giustizia tributaria (proposta n.1521 del 21.1.2019, dell’onorevole Vita Martinciglio) per la figura semidirettiva dei “Vice Presidenti di Sezione”, ora forse su un binario morto.

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3 – Note e ricorrenti sono le obiezioni
mosse alla rotazione. La principale è quella del rischio di inadeguatezza del magistrato chiamato ad assolvere turnariamente alla funzione direttiva. Si dice: «Mai potrei essere diretto/presieduto da quello…», alludendo – in modo più o meno velato – alle carenze di equilibrio, professionalità, capacità, etc. di quel magistrato. A prescindere, tuttavia, dal sereno rilievo che altrettanto potrebbe ripetersi anche per troppi dirigenti “selezionati”, l’osservazione appare prima di tutto ipocrita. Il problema vero, difatti, non è quello di evitare che le funzioni direttive siano svolte da un magistrato incapace bensì che un magistrato incapace possa esercitare le funzioni giurisdizionali a danno dei cittadini.  La leva dell’autoformazione, supportata da quella disciplinare e della responsabilità civile, devono ridurre al minimo il rischio di simili presenze, a prescindere da ogni opzione sulla rotazione. Si aggiunga, poi, che solo la rotazione potrà condurre a un autogoverno orizzontale, fondato sul “dovere” di ogni singolo magistrato di esserne protagonista.  Verrà giocoforza meno l’attuale disaffezione forzata, indotta dalla chiara consapevolezza di essere parte di quel 90% di esclusi a vita. Mutata la prospettiva, ogni magistrato vorrà essere all’altezza del compito a cui verrà chiamato, e per fare ciò vigilerà sulle attività del Presidente di Sezione, del Presidente del Tribunale, del Procuratore della Repubblica, del suo Aggiunto, in vista del proprio turno.

4 – Altra critica ricorrente è quella secondo cui non tutti magistrati avrebbero attitudini direttive, pur se professionalmente capaci e preparati. L’obiezione pecca, all’un tempo, di enfasi e astrattezza. Enfasi, perché la ricerca di pretese doti manageriali in capo al singolo magistrato si rivela, per quanto già detto, esercizio retorico, privo di concreti risvolti pratici nella vita dell’Ufficio. Ma anche astratta, perché teorizza l’esistenza di una sorta di “Giano bifronte” che, nella realtà, non trova serio aggancio.  Perché un buon giudice, per dare concretezza e autorevolezza al suo lavoro, deve necessariamente coordinarsi con i colleghi, con le cancellerie, con il foro; deve gestire l’agenda, individuando le priorità e le questioni ancillari; deve predisporre un adeguato programma di gestione del ruolo, calendarizzare le udienze, etc. Altrettanto dicasi, in forme diverse, per un buon sostituto, per un buon gip, e così via. Tutto ciò esige, in capo a ogni singolo magistrato, precise capacità organizzative non solo interne ma, come si vede, esterne. Sarà mai possibile, allora, che un magistrato possa essere “bravo” ma privo doti organizzative? E la risposta è senz’altro negativa. Perché la sua inadeguatezza organizzativa si rifletterà inevitabilmente sulla qualità e sull’efficienza della funzione giurisdizionale. In altre parole, quel magistrato sarà inadeguato alle funzioni direttive proprio perché inadeguato anche nell’amministrazione quotidiana.

5- Abbiamo iniziato il nostro discorso sull’onda di uno scandalo: ancor più scandaloso sarebbe, però, assistere al mesto spettacolo di un Parlamento che si gira dall’altra parte. La politica si assuma la responsabilità di far cessare il nominificio, eliminando alla radice il principale strumento di potere delle correnti. Lo faccia per ridare concretezza ai principi dell’autogoverno e della pari dignità delle funzioni. Lo faccia con la rotazione, per chiudere definitivamente la pagina buia della dirigenza “castale”, frutto di troppe notti romane…