«Marco Pannella è morto cinque anni fa. Oggi ci ha lasciato Franco Battiato. Due date dolorose per ciò che entrambi hanno rappresentato nella vita politica, culturale e civile del nostro Paese. Dolorose per tutti e non solo per i radicali, pur nelle loro divisioni, uniti nel rimpianto di due vite che si sono intrecciate per così tanto tempo. In una dichiarazione di cordoglio pubblicata su Facebook, Gianfranco Spadaccia ha scritto che, con la morte di Franco Battiato, scompare non solo un musicista, un compositore, un grande artista ma anche un compagno e un amico: Franco fu uno dei primi cantautori a mettere la sua musica, la sua voce e le sue canzoni a disposizione delle manifestazioni che negli anni ‘70 e ‘80 accompagnavano le nostre lotte per i diritti civili. E ci fu vicino anche quando non era facile combattere con metodi nonviolenti le crescenti degenerazioni partitocratiche che corrodevano dall’interno la nostra democrazia con le lottizzazioni, l’occupazione delle istituzioni, la diffusa corruzione. Franco Battiato con Mani Pulite ha condiviso anche lui l’illusione che la soluzione ai problemi del nostro Paese potesse essere affidata al giustizialismo, senza spingersi fino al punto di condividere quella di una via giudiziaria al socialismo e rimanendo, a differenza di altri, sempre amico dei radicali e vicino ad alcune loro battaglie. Non è facile combattere partitocrazia e corruzione con le armi del diritto, del garantismo, della Costituzione. Molti ricorderanno e canteranno Povera Patria. Io preferisco ricordare e cantare La cura. A testimonianza di questa vicinanza mi piace ricordare che nel momento finale della vita di Marco, lo andò a trovare con la stessa amicizia di sempre». A ricordarlo è Emma Bonino, figura storica dei Radicali, oggi senatrice.

Franco Battiato, un grande artista, ma anche una persona che ha sempre cercato il suo “centro di gravità permanente” nelle grandi battaglie Radicali.
Battiato, come ricorda bene Gianfranco Spadaccia, è stato uno dei primi cantautori a mettere la sua musica e le sue canzoni a disposizione delle manifestazioni che si facevano negli anni ’70-’80. In questo modo, tirandosi altri artisti, dagli Area fino a De Andrè. Le strade si sono divise e poi si sono riunite. A me mancano, soprattutto questi due grandi personaggi: Marco Pannella e Franco Battiato. E soprattutto mancano al Paese.

All’inizio della nostra conversazione, lei ha confidato che di Battiato preferisce ricordare e cantare La Cura. Vorrei però riportare la prima strofa di Povera patria: «Povera patria/Schiacciata dagli abusi del potere/Di gente infame, che non sa cos’è il pudore/Si credono potenti e gli va bene quello che fanno/E tutto gli appartiene». Questa “povera Patria” che metteva in versi musicali Franco Battiato, è ancor oggi così?
Per molti aspetti sì e per altri è anche peggiorata. Pensi al fango che sta travolgendo il Csm. Le vicende Palamara e Amara… Dal mio punto di vista, per alcuni aspetti la situazione si è sicuramente aggravata. È vero che io ho un’attenzione particolare a tutto quello che riguarda la giustizia. Mi pare che le parole che usava Franco Battiato si possano applicare anche oggi.

Sempre per rimanere a questo testo che ha fatto storia. Il refrain della canzone è «Non cambierà, non cambierà/No cambierà, forse cambierà». C’è in questo un messaggio di speranza?
Sicuramente sì. Per quello che ricordo dei nostri colloqui, oltre la denuncia c’era veramente la speranza. Senza assolutismi, infatti lui usa l’avverbio “forse”. Questo voleva anche essere un messaggio di non rassegnazione. E credo che, al di là del merito delle singole battaglie, fosse proprio quello che Franco Battiato apprezzava in Pannella, e cioè di uno che non desiste, che non si arrende. Che non solo dà speranza ma è speranza di per sé.

Lei mette insieme queste due figure, Battiato e Pannella, così diverse ma al tempo stesso così coincidenti. Come racconterebbe oggi a un millennial chi è stato e cosa ha rappresentato Marco Pannella?
Intanto, la passione politica come impegno civile che non si esercita solo nelle istituzioni. L’offerta è molto grande. È quello che dico sempre agli studenti: voi dovete, cari giovani, anche restituire qualcosa che avete ricevuto. Ricevuto dai vostri padri e dai vostri nonni, pur in un Paese in grande difficoltà. Gli ambiti di libertà possibile, perfezionabile ovviamente e bisogna andare avanti, ma quella libertà l’avete ricevuta non per vostro impegno. Il vostro impegno, la vostra cittadinanza, è anche quello di restituire in parte. Chi vorrà potrà occuparsi di ambiente o di diritti civili, occupatevi di quel che volete. L’offerta, ripeto, non manca. Il problema è solo di smettere di fare clic e impegnarsi. Quanto a Marco, che dire, potremmo scrivere o parlare per ore, giorni, mesi, ricordando episodi, fissandoci su aneddoti, ricordando le molte invettive da lui ricevute da altri che dopo morto lo hanno incensato. Senza mai giungere a centrare il nucleo fondamentale della sua vita e del suo impegno politico. C’è riuscito nei giorni scorsi il Prof. Pugiotto, amico e sodale da sempre: «Pannella credeva nel diritto come violenza domata, nella legalità quale regola e limite al potere, nella democrazia come conflitto senza spargimento di sangue. I fondamentali del costituzionalismo liberale su cui ha saputo edificare un metodo di lotta politica». E la sintesi che condivido di più, aggiunta alla sua capacità di invenzione e spiazzamento della politica più tradizionale. Per questo trovo stucchevole la domanda di rito che spesso mi viene rivolta: cosa farebbe o si inventerebbe oggi Pannella? Molti sono pronti a dare una risposta con grande sicurezza, che sembra quasi una appropriazione indebita di pensiero e opere di chi invece “scontato”, e tanto meno prevedibile, non è mai stato.

Prima citavamo, per tornare a Battiato, una strofa di Povera patria, ma anche La cura. Questo riporta a qualcosa che è stato, come dire, un elemento costitutivo dell’essere speranza dei Radicali, cioè il corpo. E Pannella, come lei e tanti altri leader e militanti Radicali, ha sempre usato il corpo per trasmettere messaggi politici e condurre battaglie di civiltà.
Lo spazio pubblico – piazze, strade, marciapiedi soprattutto – e l’uso del corpo. Ovviamente tutte cose estranee alla politica tradizionale e che per questo anche oscurate dalla Rai. Io canto La cura perché mi sembra in parole più o meno semplici, quello che vuol dire volersi bene: «Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie/Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via/Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo/Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai…». E poi nel periodo più drammatico, più violento, quando Battiato, in un’altra sua grande canzone, Bandiera bianca, cantò «In quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orrore». Tutte cose che rimangono e che Marco e chi gli è stato vicino ha cercato di trasmettere per tutta la vita, io provo ancora a farlo con i ragazzi.

Anche perché non c’è futuro senza memoria…
Esattamente ha detto qualcuno. Un altro grande, Primo Levi.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.