Non è mai stato edito il concerto forse più emblematico e suggestivo della carriera di Franco Battiato. È morto oggi, nella sua casa di Milo, Catania, il Maestro, artista, canzonettista, sperimentatore, per alcuni una sorta di filosofo, santone-cantautore, che fu soprattutto un genio del pop. Della sintesi, della parafrasi per il popolare, alto e basso. Si è spento dopo una malattia che gli aveva fatto perdere progressivamente coscienza e lucidità. A marzo scorso aveva festeggiato il suo 76esimo compleanno. Il primo Lp, Fetus, nel 1972. In mezzo a 8 album dal vivo editi e registrati, non è mai stato pubblicato il concerto che Battiato tenne a Baghdad nel dicembre 1992.

Musica sotto l’embargo, quello per la Prima Guerra del Golfo. Sul punto di una mappa allargata, dal Mediterraneo a tutto il mondo, che Battiato aveva corso e percorso, attraverso i suoi modi e i suoi linguaggi, con la musica progressiva, il rock, il dialetto, il kamasutra, le Mille e una Notte, George Gurdjieff o i dervisches tourners, la poesia e l’elettronica, il buddhismo e la cultura araba. Pubblico non pagante, soprattutto musicisti, studenti universitari, familiari dell’Orchestra Sinfonica nazionale dell’Iraq che con i Virtuosi Italiani avevano accompagnato l’autore siciliano. E politici. Venne trasmesso la notte di Natale, alle 21:30, da Videomusic, dopo uno speciale girato in Iraq. Furono anche critiche e polemiche, per un supposto appoggio a Saddam Hussein che mai c’era stato. Non era quello il senso. In questi giorni di conflitto e bollettini di guerra quotidiani in arrivo dal Medio Oriente fa ancora più specie quell’iniziatica. In quei giorni Battiato disse che era stato “atroce l’uso spettacolare che gli americani hanno fatto della guerra del Golfo, quel costringerci a ritrovarci al mattino con i punteggi aggiornati, come fosse stato un incontro di boxe”.

IL CONFLITTO – L’operazione Desert Storm era scattata il 16 gennaio del 1991. L’invasione da parte dell’Iraq, indebitato da otto anni di guerra inutile con il vicino e khomeinista Ira, del Kuwait provoca la condanna delle Nazioni Unite, un ultimatum al 15 gennaio 1991 e quindi l’intervento della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Oltre 120mila i morti iracheni, 150 le perdite nella Coalizione Internazionale. Il 3 marzo Baghdad ha firmato il cessate il fuoco accettando pesanti sanzioni economiche e disarmo.

IL CONCERTO – “Era il 4 dicembre 1992 – hanno raccontato ad Agensir Alfio Nicotra e Angelica Romano, dell’associazione di volontariato Un ponte per che opera da oltre 25 anni in Medio Oriente – e l’Iraq e il suo popolo erano messi all’indice dalla comunità internazionale. Ci chiese di collaborare ad un suo sogno, quello di tenere un concerto a Baghdad. Ci parve subito una idea bellissima e mettemmo a disposizione ogni nostro contatto e forza affinché il concerto si tenesse. Senza la sua ferma volontà non ci saremo mai riusciti”.

Il live al Teatro Nazionale Iracheno. Musicisti senza corde per gli strumenti, artisti senza più spartiti, un paese senza libri e possibilità di studiare. “Le note rompevano gli steccati, attraversavano il muro dell’odio, unendo con la musica i popoli. Battiato stesso – hanno aggiunto Nicotra e Romano – ricordava, non nascondendo la propria emozione, la commozione dei musicisti iracheni privati, a causa dell’embargo, di spartiti, ance e corde per violini. Lo stesso pianoforte del concerto venne accordato a 440 invece che a 442 per paura che saltasse tutto. Ancora oggi quando incontriamo i musicisti iracheni di quel concerto ci chiedono di portare il loro saluto e ringraziamento a questo grande maestro”.

I MOTIVI – Battiato attaccò con L’ombra della luce, cantata in arabo classico, tradotta dal portavoce dell’ufficio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina Ali Rashid. “Perché è una preghiera”, spiegò. Nessun appoggio alla politica irachena: ma l’intenzione di dare risonanza alla tragedia, come succedeva per la Jugoslavia, la Somalia, in quegli anni. Per l’infanzia colpita dall’embargo, come raccontò l’autore. La parola che aveva sentito pronunciare con la troupe del documentario più spesso era stata: latte. Un bambino morì sotto i suoi occhi.

LE POLEMICHE – “Quando mi hanno chiamato dall’ambasciata irachena e mi hanno chiesto di fare un concerto ho detto subito di sì, senza pensarci tanto. E non è da me, che penso molto prima di fare una cosa, e che ho rifiutato altri concerti apparentemente più importanti di questo. Inutile dire che mi sono trovato contro mille persone – ha raccontato a Repubblica – Sei pazzo, mi dicevano, vai cantare per il regime di Saddam Hussein. Non è così, ho sempre risposto; tutti coloro che erano con me sanno che se avessi visto in platea una divisa o un mitra non avrei cantato, se fosse arrivato Saddam Hussein mi sarei trovato in grave imbarazzo. Ma per fortuna non è venuto. È inutile ribadire che lo scopo principe della mia visita in Iraq era umanitario, perché non trovo giusto che un popolo debba soffrire per colpe non sue; ma è anche vero che credo sia giusto dare a tutti una possibilità di redenzione, perché molti assassini sono diventati santi”.

Il concerto non uscì mai su cd né in vinile. Si trovano dei video, anche integrali, dello spettacolo sul web, e un dvd in commercio. Alcuni brani sono stati inclusi in raccolte o album successivi. A chiudere la scaletta Fogh in Nakhal, canzone tradizionale irachena – fu inclusa nell’album Caffè de la Paix del 1993 – che evoca i canti sufi: “Non ho nessuna malattia: soffro per quella persona bruna che m’imprigiona con i suoi dolci occhi”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.