Assolto in primo grado e anche in appello. Ma quel giorno… «Avvocato, ma come mai lei di queste cose non parla mai per telefono?». Chissà che frustrazione per il dottor Roberto Pellicano, ex sostituto milanese e oggi procuratore capo a Cremona, quel giorno di sei anni fa, quando si era reso conto di non aver potuto lanciare la consueta pesca a strascico tramite le intercettazioni sui telefoni dell’avvocato Onofrio Amoruso Battista. Eppure l’impegno era stato notevole, il 6 febbraio del 2013: 25 agenti della Guardia di finanza sparpagliati tra la casa, lo studio e gli uffici della banca Popolare Milanese di cui l’avvocato era il legale dal 1980, per perquisizioni cui si accompagnava l’ordinanza di custodia cautelare. Per due volte, nel corso delle indagini, gli uffici del pubblico ministero avevano invano chiesto il carcere per l’avvocato milanese, per due volte il gip l’aveva rifiutato, sostituendolo con i domiciliari, che comunque si sono prolungati per cinque mesi.

I titoli di reato? Le solite cose, verrebbe da dire: associazione per delinquere, un certo numero di episodi di corruzione tra privati, appropriazione indebita. “Rapporti con la criminalità organizzata”, titoleranno però i quotidiani, in particolare Il Fatto e Repubblica, il giorno dopo. L’avvocato Amoruso è accusato di aver fatto parte, insieme all’ex presidente di Bpm Ponzellini e altre persone, di un “comitato d’affari” che, in cambio di tangenti, avrebbe fatto ottenere finanziamenti “facili” a chi non ne aveva titolo, in particolare a BPlus, la società di Francesco Corallo nel settore del gioco legale, le sloat machine. Gli arresti di febbraio erano stati anticipati da un articolo di Repubblica del 16 novembre 2012 e dal solito agguato della trasmissione Report, con i cronisti appostati davanti a casa e all’ufficio dell’avvocato Amoruso e infine una chiacchierata con l’attuale direttore Sigfrido Ranucci poi trasformata in intervista con registrazione occulta. Un “grande scoop” carpito alle spalle. Quel che attirava, ieri come oggi, i signori grandi firme, era il solito profumo di mafia, per via della presenza nell’inchiesta del nome di Francesco Corallo, cui si aggiungeva in questo caso anche l’odore della ‘ndrangheta per un supposto (e mai avvenuto) finanziamento elettorale a un ex assessore della Regione Lombardia, arrestato proprio in quei mesi per sospetti contatti con persone di una ‘ndrina calabrese.

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La vicenda in realtà era tutta interna al mondo delle banche e anche a quello delle società impegnate nel settore del gioco legale. Negli anni tra il 2009 e il 2011 vi era una certa attenzione sia della Banca d’Italia che della Guardia di finanza nei confronti del sistema cooperativo del Banco Popolare Lombardo, presieduto da Massimo Ponzellini, che era entrato in conflitto con l’assemblea dei soci, composta da dipendenti molto sindacalizzati e che disponevano ciascuno di consistenti pacchetti di clienti. L’avvocato Amoruso era da sempre in stretto contatto in particolare con il sindacato autonomo Fabi, così come con le due sigle Fiba e Fisac che rappresentavano rispettivamente i confederali Cisl e Cgil. Esisteva un vero rapporto fiduciario, tanto che, quando lui era stato candidato come membro dell’istituto dei probiviri (cioè di coloro che fornivano gli indirizzi di ordine deontologico), era stato eletto con ben 1.200 voti. Una vicinanza che disturbava non solo il presidente del Banco, ma anche, in seguito, lo stesso pubblico ministero Pellicano. Il quale, durante un interrogatorio durato oltre sei ore, picchiando forte la mano destra disposta a taglio sulla sinistra, gridò: «Io lo devo spezzare, questo suo rapporto con il sindacato!». Chissà perché.

Il motivo del conflitto interno alla banca era determinato dalla volontà di Ponzellini di azzerare la struttura cooperativa e trasformare l’istituto in società per azioni. Cosa che in seguito accadrà, ma solo nel 2015, con un decreto del governo Renzi. Nel frattempo però la presidenza Ponzellini era caduta in favore di quella di Andrea Campanini Bonomi. Il quale, invece di allinearsi ai potenti sindacati che al vertice dell’istituto lo avevano voluto, riesce a infilarsi in una situazione conflittuale ancora più aspra di quella del passato, con trasferimenti nottetempo di 500 persone mandate a cento-centocinquanta chilometri di distanza e un tentativo di modifica statutaria che gli viene sonoramente bocciata. È a questo punto che, su suggerimento della stessa Procura milanese, parte dall’Istituto la querela nei confronti di Ponzellini per i finanziamenti a Corallo.

La cosa strana (vogliamo pensare sia stato un errore) è che dal carteggio tra l’ufficio legale di Bpm e i magistrati si evince che il suggerimento dei pm è del giorno precedente rispetto alla mail di richiesta da parte dell’avvocato. Tra l’altro scoppia anche il problema del conflitto di interessi del presidente Bonomi che, proprio come Corallo, gestiva due società nel settore delle sloat machine. Così finisce che Corallo cita Bonomi davanti all’Alta Corte di Londra (erano tutti e due residenti in Inghilterra) e quest’ultimo è costretto ad aprire una trattativa segreta con il concorrente. Ma intanto non dimentica tutti coloro che gli si erano opposti nella sua gestione e nel progetto della spa. Il 5 febbraio 2013 il Bpm esercita la remissione di querela e il giorno dopo viene arrestato l’avvocato Onofrio Amoruso Battista.

Ogni sua consulenza, a partire da questa di un milione e due fatta alla società BPlus, è considerata una tangente finalizzata a fare ottenere un prestito alla società. Bonomi dà anche incarico all’audit interno di verificare tutte le attività professionali dello studio Palmisano-Amoruso, senza risultato. L’avvocato Palmisano non verrà mai sentito dai magistrati. E Amoruso subirà cinque mesi di domiciliari, oltre a un anno e due mesi di sospensione dall’albo professionale. Inutile chiedere come sta a uno che ha perso tutto, che ha dovuto chiudere lo studio, che si sta riprendendo solo ora con pochi clienti, dopo due assoluzioni e che non è ancora in grado neppure di retribuire il suo legale di fiducia. È lui, l’avvocato Ezio Monaco, il più sorpreso: «Mio padre era un magistrato – dice – ma era di un’altra generazione, non ci avrebbe dormito la notte, prima di decidere sulla custodia cautelare, soprattutto nei confronti di un professionista». «Abbiamo tanto lottato – conclude – per il nuovo processo, per il sistema accusatorio, ma se non facciamo la separazione delle carriere, è stato tutto inutile».

Tiziana Maiolo

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