Il Conte Ter doveva nascere per forza. E la maggioranza che non c’era, si doveva trovare a tutti i costi. Tanto che sembra averci lavorato un pezzo del vertice di quei servizi segreti che con Conte erano diventati un’appendice di Palazzo Chigi. Dal libro di Bruno Vespa appena presentato (Perché Mussolini rovinò l’Italia e come Draghi la sta risanando) si assume una confidenza che l’autore non può che aver ricevuto dal protagonista di questa storia: Lorenzo Cesa. Il segretario Udc sarebbe stato al centro di pressioni fortissime, nei giorni in cui si cercava la maggioranza raccogliticcia (I “Responsabili”) per il Conte Ter. Cesa nicchiò e infine negò di dare l’appoggio della formazione centrista a Conte. Per pura coincidenza, tre giorni dopo il voto al Senato – era il 21 gennaio – ricevette in casa una perquisizione della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, per ordine del procuratore Nicola Gratteri. Gli contestarono il reato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso.

Anche nell’intervista recentemente fatta con il Riformista, Cesa fa riferimento alla singolare combinazione, nelle stesse giornate, di decisioni politiche e inchieste roboanti. Che nulla avevano di fondato: il leader Udc è stato prosciolto da tutte le accuse, anzi ha visto la sua posizione stralciata dall’inchiesta ancora nella fase preliminare. Come gli era stato pronosticato da uno 007 che lo ha raggiunto a casa, in quelle ore concitate. Con Conte appeso a un filo, Mattarella aveva evidentemente già iniziato a comporre il numero di telefono di Mario Draghi per sondarlo. Ma c’è ancora un margine per ripescare Conte, che fino all’ultimo si illude. Briga. Fa chiamare. È a quel punto che accade l’incredibile: «Subito dopo la perquisizione, il segretario dell’Udc ricevette la visita di un importante agente segreto che conosceva da tempo e che gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza», scrive Vespa nel libro. Chi decide di parlare oggi lo fa anche perché le partite aperte allora, sono oggi chiuse. Il generale Vecchione non dimora più a capo dei servizi, allontanato il 14 maggio da Mario Draghi. Legato a Conte da una solida amicizia, è stato al suo fianco dall’inizio del Conte I alla fine del Conte II.

E l’ombra dei servizi la ritroviamo in più punti della cronistoria del Conte II. Si parlò insistentemente di uomini dell’intelligence che facevano pressioni per Conte, qualcuno anche transitando per le segrete stanze dello studio Di Donna-Alpa-Conte. Ed era in quello studio che – ancora indietro, nella primavera 2020 – l’avvocato Luca Di Donna, sotto le insegne del collega di studio più anziano, Giuseppe Conte, riceveva i clienti insieme con il capo di gabinetto dell’Aise, i servizi di controspionaggio, Enrico Tedeschi. E con un secondo generale, verosimilmente membro dell’intelligence, che il teste Giovanni Buini fatica a identificare.

E d’altronde solo Cesa può fare il nome dell’importante dirigente dei servizi che lo andò a trovare, e tutto ieri Cesa è rimasto blindato: “non conferma e non smentisce”, ci fa sapere il suo portavoce Salvo Ingargiula che però si lascia sfuggire: «Di queste cose parla nelle sedi istituzionali, al Copasir». Parlerà al Copasir? La voce dal sen fuggita può trovare riscontro solo nell’agenda del Comitato parlamentare per la sicurezza. Le cordate degli 007 sono note, le poltrone che contano pure. Draghi ha imposto un cambio della guardia che però ha inciso fino a metà. «Chi comanda sempre è il giro di quelli che chiamiamo istituzionali, da Franco Gabrielli a Luciano Carta», ci dice una gola profonda dei servizi. Se solo Cesa può dire chi lo era andato a trovare e da chi era stato spinto, quel che si può escludere a una prima analisi è che fosse un uomo dell’Aise. E il campo si restringe all’Aisi, al cui vertice siede Mario Parente, generale dei Carabinieri la cui ascesa si lega a indicazioni di matrice dem. «Marco Mancini stava dall’altra parte», suggerisce la nostra fonte. A una attenta lettura l’evoluzione dei fatti – per come la concatena Vespa – tende a far pensare a una manovra ordita da chi è più vicino a Gratteri. E chi è più vicino a Gratteri si chiama Marco Mancini. «E non dovete farvi trarre in inganno: Mancini non era affatto tra gli uomini ai quali Giuseppe Conte avrebbe potuto rivolgersi», ci ricorda la nostra fonte. Il contestato scoop di Report, realizzato in circostanze mai del tutto chiarite, ha reso noto l’incontro di Mancini con Matteo Renzi. La cordata opposta, dunque. Di pressioni fortissime in quei giorni di fine gennaio se ne vedevano ovunque, e i discorsi di Conte a Camera e Senato erano infarciti di blandimenti sperticati.

Amici democratici cristiani”, si era lanciato Conte: ed ecco che Cesa viene messo sui carboni ardenti. Poi si era appellato ad “un uomo di cultura come il socialista Nencini”. Anch’egli protagonista di un giallo; Renzi gli raccomanda di votare contro la fiducia (Italia Viva e Psi integrano lo stesso gruppo) ma lui, appartatosi a palazzo Madama con Giuseppe Conte fino alle 22 della sera del 19 gennaio, ne uscirà con una carica insperata, correndo in aula per votarlo. Secondo una indiscrezione, un accordo su una posizione istituzionale di primo piano nel nascituro governo. Poi però i piani andarono diversamente. Arrivò Mario Draghi e con lui l’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica venne affidata nelle mani di Franco Gabrielli, ed Elisabetta Belloni venne incaricata di guidare il Dis dopo l’uscita di Vecchione. Da allora non si hanno più notizie di agenti segreti che girano di casa in casa a suggerire ai parlamentari come devono votare.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.