La diffusione del Coronavirus è un errore di laboratorio? Speculazioni, bufale giornalistiche? Recentemente anche in Italia si è diffuso il sospetto che il tremendo virus cinese sia stato costruito all’interno di un laboratorio di Wuhan e da questo accidentalmente si sia diffuso. Un’arma biologica sfuggita al controllo, uno scenario da film di fantascienza che ricorda il film Cassandra Crossing. Nessun facile sensazionalismo, vediamo come meglio inquadrare la vicenda. La rivista Journal of Defence Studies nell’aprile del 2015 ha ospitato un lungo articolo intitolato “China’s Biological Warfare Programme” che, come suggerisce il titolo, cerca di descrivere la capacità della Cina di sviluppare un programma di guerra biologica, con particolare riferimento all’attitudine di produrre armi biologiche. Lo studio indica una dozzina di strutture verosimilmente affiliate all’esercito cinese che conducono ricerca, test e produzione di armi biologiche.

Effettivamente, ma non sappiamo se collabora con l’esercito o con altre istituzioni militari, il breve saggio più volte cita il Wuhan Institute of Biological Products. Fondato nel 1950, con un migliaio di dipendenti, ruota nell’orbita della grande azienda pubblica cinese China biological technology company. Sviluppa vaccini e prodotti per l’immunizzazione, anzi è il più importante produttore di vaccini di tutta la Cina. Recentemente il quotidiano The Washington Times ha ipotizzato che il Coronavirus possa essere stato originato all’interno di un laboratorio dell’istituto e da questo si sia diffuso. L’edificio che ospita i laboratori incriminati è ubicato a sud della città a una ventina di chilometri dal centro, nel distretto dello Jiangxia. Una sorta di distretto produttivo: nei dintorni vi sono altri centri o dipartimenti che si occupano di ricerca biologica, tra tutti il China Biology Tecnology Group. Inoltre, la stessa megalopoli ospita il Wuhan Institute of Virology.

Nel febbraio del 2017 la rivista Nature ha pubblicato un articolo dedicato a un centro di ricerche in Wuhan che, senza entrare troppo nel dettaglio, genericamente lo definisce “il laboratorio” il quale «è in procinto di essere autorizzato a lavorare con i patogeni più pericolosi al mondo», tali laboratori avrebbero ottenuto il livello di sicurezza massima “biosicurezza livello 4, BSL-4”.
Questa è la fotografia: Wuhan, città con circa dieci milioni di abitanti, è anche sede d’importanti centri di ricerca, sviluppo e produzione di vaccini. Probabilmente qualcosa di più: a Wuhan si è creato un importante distretto industriale che si occupa di biotecnologia, che, probabilmente, opera anche per il Governo e per le forze armate. Con poca difficoltà si potrebbe insinuare che vi è una coincidenza geografica tra la densità e la specializzazione di centri di ricerca presenti in luogo e la diffusione del Coronavirus.

La medicine intelligence si è occupata del caso. Analytica, centro di analisi e ricerca con sede a Torino, ha pubblicato un breve studio riguardante la possibilità dell’origine dolosa della diffusione del virus. Le conclusioni non lasciano dubbi: «La possibilità che si tratti di un impiego di un’arma da guerra considerati gli effetti al momento nulli in termini di danno infrastrutturale e di incapacitazione o mortalità delle truppe sono pressoché nulle. La possibilità che si tratti di un evento bioterroristico, per le caratteristiche intrinseche dell’arma, per la dinamica di sviluppo e le eventuali scelte relative alla modalità di dispersione, e di targeting e l’assenza degli indicatori specifici sono da nulle a bassissime». La possibilità che si tratti di un evento accidentale «è possibile, ma non suffragato da nessuna notizia, evento o circostanza, anche preso in esame che il laboratorio oggetto di sospetto fosse utilizzato per finalità dual-use (civili-militari) in contrasto con le norme internazionali».

D’accordo nell’escludere la possibilità dell’impiego di un’arma da guerra e di un evento di terrorismo biologico. Come sottolinea lo studio non vi sono state rivendicazioni, il tasso di mortalità è basso così come l’indice di contagiosità. Più debole, ma giustificata, le motivazioni che escludono l’errore. Non si hanno notizie. Questo è il punto che crea incertezza e alimenta facili speculazioni e fragili costruzioni. La mancanza di comunicazione a tutto tondo, la censura, la tecnicità dei dati diffusi non permettono un’analisi della situazione. Sappiamo che la Commissione europea ha sospeso i viaggi dei suoi funzionari, che British Airways, United Airlines, l’indonesiana Lion Air non volano verso la Cina. È noto che la catena Starbucks ha intenzione di chiudere duemila negozi, e anche Uniqlo e H&M abbasseranno molte serrande. Le case automobilistiche Toyota e Hyundai fermano le produzioni. Tutte queste società hanno una caratteristica: non sono cinesi.

Abbiamo notizie attraverso gruppi che non hanno sede nel Paese del Dragone. Ciò, oltre che stimolare speculazioni, rende quasi impossibile valutare la reale portata della tragedia e le conseguenze economiche. I filmati che girano su Instagram sono inquietanti. È arduo disegnare un bilancio complessivo per mancanza d’informazioni. Possiamo quindi solo immaginare cosa possono comportare i divieti di frequentare zone ad alta densità, il blocco o il rallentamento dei trasporti e quindi del trasporti delle merci sia quelle destinate al consumatore finale che alla subfornitura. Le borse di Hong Kong e Shanghai stanno scendendo, cosa dobbiamo aspettarci dalla diffusione del Coronavirus? Solo Pechino può impedire la diffusione delle bufale, delle speculazioni finanziarie, politiche e commerciali.