Se non gli verrà applicato il minimo della pena morirà in prigione. Così, appena una decina di giorni fa, i legali di Harvey Weinstein difendevano il loro assistito nel processo per reati sessuali diventato simbolo del movimento #metoo. E invece l’ex produttore cinematografico statunitense è stato condannato a 23 anni di carcere perché dichiarato colpevole di stupro di terzo grado per una violenza avvenuta nel 2013 e di atti sessuali criminali di primo grado per un episodio del 2006. Si trova in isolamento nel carcere Walden Correctional Center di Alden, fuori Buffalo, nello stato di New York. Proprio in carcere è stato sottoposto al test per il coronavirus. Risultato: positivo. Lo ha riportato la Niagara Gazzette.

La sentenza è arrivata l’11 maggio. L’ex patron di Miramax era accusato di stupro da 105 donne. Ed è stato condannato per stupro di terzo grado – rapporti sessuali forzati senza consenso – e rapporti sessuali di primo grado – atti sessuali ottenuti con costrizione. Le prime due donne ad accusarlo l’ex assistente di produzione Miriam Haleyi e un’aspirante attrice di nome Jessica Mann. L’imputato era stato invece assolto dall’accusa più grave, quella di “predatore sessuale”, ovvero di violentatore seriale; accusa per la quale ha rischiato l’ergastolo. Il processo è durato 49 giorni e l’ex produttore dovrà affrontarne un altro a Los Angeles.

Weinsten ha 67 anni. Dopo la sentenza ha accusato un malore e poi stato operato al cuore. Le ultime foto lo ritraggono in sedia a rotelle. Secondo quanto riferito da autorità del carcere alla Niagara Gazzette, era già positivo all’ingresso nel sistema penitenziario dello Stato di New York. In un primo momento era stato detenuto a Rikers Island, un centro di smistamento dal quale i detenuti spostati una volta effettuate le visite mediche.

Redazione

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