Uno dei motivi che mi porta ogni giorno a impegnarmi in politica è, come ha detto Matteo Renzi alla scuola di formazione di Terrasini, “per andare oltre le cose, andare a vedere cosa c’è dietro”.
Ecco, se quindi dovessi definire il motivo che mi porta a riflettere, ragionare, agire e impegnarmi per la cosa pubblica, questa definizione coinciderebbe con l’esigenza di capire il perché della crisi della nostra democrazia. Ne ho provato a parlare in lungo e largo in questi mesi, ospitato dal Riformista, facendo un focus sulla necessità di coinvolgere in forme nuove i cittadini, per rafforzare l’azione degli esecutivi e dei nostri parlamenti, ma non basta.
C’è un problema cruciale che riscontro nell’impegno quotidiano, ed è quello che, in sintonia col recente quadro descritto dal CENSIS, gli italiani e le nuove generazioni non credono più nella politica.

Potreste dire, abbiamo sentito un sacco di volte questa frase vuota, troppo spesso lasciata lì sospesa senza una reale messa a terra. Io vi rispondo che le persone non credono più nella politica non come strumento per cambiare lo stato di cose, o il mondo. No, quella consapevolezza grossomodo permane (e anche in quel caso qualche scricchiolio inizia ad esserci), altrimenti la protesta che si palesa ad ogni piè sospinto non ci sarebbe.
No, il vero problema è che le persone non ritengono più credibili i loro rappresentanti, degni quindi di essere creduti.
Parlando di intelligenza artificiale l’altro giorno dalle colonne di questo giornale nella sua edizione cartacea, ho parlato del primo caso di AI elections, egregiamente descritte dal New York Times: quelle argentine, dove si è instaurato un vero far west che ha inquinato il dibattito pubblico come non mai, rendendo vero ciò che non lo era, e falso ciò che era reale, portando a un generale scombussolamento delle coscienze.
Scenario distopico? Forse, ma non troppo se pensiamo che stiamo parlando comunque di una media democrazia sudamericana, con enormi problemi per carità, ma che non è così lontana dal nostro modo di concepire la politica o la società.

Osservando quello spettacolo, mi sono quindi chiesto: noi siamo ancora in tempo, o siamo già dentro il processo che ci porterà a non poter più districarci tra le informazioni e i mass media con gli strumenti di sempre? Cosa distinguerà ciò che è vero da ciò che è falso se continueremo, come sembra inevitabile, a dover convivere con macchine della disinformazione sempre più sofisticate e una pervasività dell’intelligenza artificiale tale da alterare la percezione cognitiva?
E se la distinzione non sarà più possibile, come forse già inizia a esserlo, basti pensare a Giorgia Meloni che afferma bellamente in Parlamento, da Presidente del Consiglio, di non aver mai detto di voler uscire dall’Euro senza nessun cenno di scuse, come farà a essere ritenuta credibile la politica, e quindi la democrazia?
Forse una via d’uscita c’è, ed è quello di inquadrare l’essere credibile come un terzo fattore nella contesa fra verità e fake news, e non più come mera aggettivazione.
Un progetto, una personalità, in un mondo in cui non si può più facilmente distinguere il vero dal falso, risulta credibile se rispecchia determinate qualità, oggettive, che se ci pensiamo bene, sono gli elementi che ci portano sempre di più a scegliere e discernere nelle cose della vita.

Sicuramente, la coerenza rimane un principio cardine: ma attenzione, non quella assoluta. Bensì la coerenza logica, cioè quella che è in grado, pur nella presenza di cambi di idea e opinione, di avere una propria razionalità e logicità che la porta ad essere capita ed accettata. Una coerenza, potremmo dire, sostenibile, e quindi capace di non disattendere le aspettative dei cittadini.
Uno degli esempi concreti di abuso della coerenza assoluta è proprio la nostra Premier, che infatti dopo un anno di governo ha sconfessato tutte le cose che aveva detto in anni di opposizione, iniziando a disperdere percentuali importanti di gradimento personale, e fra non molto anche politico.
Ciò che sarebbe un toccasana è la capacità di creare un forte coinvolgimento nella propria storia, nel proprio progetto politico, ovvero impostare una comunicazione politica che metta al centro la connessione tra la politica e la storia collettiva e individuale dei cittadini, per far sentire le persone parte di un disegno più grande. Un caso lampante di questo orientamento adoperato e che sta dando sempre maggiore successo di partecipazione è negli Stati Uniti, dove la comunicazione politica è più concentrata sulla connessione sentimentale, sull’esigenza di rappresentanza e meno sulle promesse roboanti o sulle grandi crociate contro qualcuno.

È credibile in democrazia ciò che assume autorevolezza, ovvero quella capacità di poter dimostrare, da parte della classe dirigente, di aver “già fatto” e quindi di essere degna di credito sul fatto che si impegnerà a perseguire il bene della comunità al governo del Paese. E su questo, non ci può essere Intelligenza Artificiale che tenga, perché non si può arrivare a costruire una storia da zero e documentarla in attività di anni, almeno per il momento.
Oggi essere credibile non può prescindere anche dal fatto che, oltre ad essere vero, siccome anche il falso assume sembianze sempre “vere”, è fondamentale essere verosimili, cioè realistici: devi sembrare vero, non solo esserlo.
Infine, l’elemento chiave: la fiducia. Nei paesi anglosassoni è ciò che viene definito come “Trust”, ovvero quel sentimento che costituisce il motore della società e che fa andare avanti le cose, facendo rinnovare ogni giorno il contratto sociale sul quale si costituisce una comunità e che gli consente di mettere a frutto il proprio capitale sociale, mettendo a proprio agio le persone permettendogli di dare il meglio.
La fiducia nel fatto che le istituzioni svolgano il loro compito, che le forze dell’ordine arrestino i criminali, che la signora della mensa dei nostri figli a scuola si prenda cura di loro, che le istituzioni finanziarie si comportino secondo etica, che i medici continuino a dare il massimo affinché le vite vengano salvate.
La fiducia nella politica risiede quindi nella capacità che essa ha e avrà di sembrare accogliente e inclusiva rispetto a ciò che di più intimo c’è negli individui: i sogni. Quando le persone vedranno rispecchiati, rappresentati, realizzati e rispettati i propri sogni, quelli semplici tanto quelli complessi, sarà il giorno in cui quella connessione sentimentale dissipata da anni di incoerenze assolute, populismi, odio, giravolte, fake news, fratture civili e conflitto sociale esasperato, potrà riprendere vigore.
In sostanza, essere un po’ più come Draghi, meno come Meloni o Conte, anche perché, se quel modello di prima e di adesso ci ha portato e porterà a far aumentare la disaffezione delle persone (ormai più del 40% che strutturalmente non vota), forse i cittadini non vogliono più politici simpatici, duri, forti. Bensì credibili.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna