L'editoriale
Critiche a Bergoglio frutto di interessi economici più che teologici
Abbiamo a che fare con un «pontificato ideologico» che si rivolge a «soggetti vittime di situazioni negative: ai ‘popoli’, ai ‘movimenti popolari’, o ad altri interlocutori analoghi» e abbandona la «dottrina sociale» come via di mezzo tra capitalismo e socialismo? La tesi è stata avanzata domenica da Ernesto Galli della Loggia in un ampio e articolato commento sul Corriere della Sera. Vorrei presentare alcune contro-obiezioni.
Primo. È vero che il Papa si rivolge ai «popoli» e ai «movimenti popolari» ma è una caratteristica specifica della teologia di cui padre Jorge Mario Bergoglio è portatore. La «teologia del popolo» è la via argentina della più ampia teologia della liberazione dell’America Latina. Nasce da una riflessione originale dei teologi Juan Carlos Scannone, Ciro Enrique Bianchi, Rafael Tello, Víctor Manuel Fernández. La «teologia del popolo» non è «populismo» e neppure una idealizzazione dei «popoli» e dei «movimenti popolari», salvatori dell’umanità. Certo in Occidente – fuorviati come siamo dal populismo in politica e dalla diffidenza verso tutto ciò che viene «dal basso» – stentiamo a comprendere la portata di questa esperienza. Dal versante ecclesiale, precisa Scannone nel suo libro La teologia del popolo (Queriniana, 2019), la «teologia del popolo» è intesa «a partire dall’unità plurale di una cultura comune, radicata in una comune storia, e proiettata verso un bene comune condiviso. Ma sono i poveri coloro che, almeno di fatto in America Latina, conservano come strutturante, della loro vita e convivenza, la cultura propria del loro popolo, e i cui interessi coincidono con un progetto storico di giustizia e di pace». Lungi dall’essere una questione limitata a un’area geografica precisa, le tre affermazioni (opzione per i poveri come categoria teologica; pietà popolare come locus theologicus; e l’interrelazione tra loro e con l’inculturazione della teologia) sono universalmente valide.
Secondo: la Dottrina sociale. In realtà su questo tema il pontificato sta proponendo a tutta la Chiesa un passo in avanti. La Dottrina sociale sta diventando il «cardine» di un approccio globale ai problemi della vita umana in senso ampio. Non siamo più nella «bioetica» classica. Per intenderci è la bioetica dei «comportamenti»: ho un problema, come lo risolvo? Ad esempio devo o no abortire, sono lecite le tecniche di procreazione medicalmente assistita, come gestire le fasi finali della vita tra accanimento terapeutico, proporzionalità delle cure, eutanasia, suicidio assistito?
Questi temi restano certamente centrali però vengono «svincolati» dalla «casistica» ed inseriti in una prospettiva di «Bioetica Globale». Cioè la Chiesa protegge e tutela la vita umana ma si preoccupa anche della «qualità» della vita delle persone, delle loro possibilità di crescita umana, economica, spirituale, sociale. Non è un cambiamento da poco. Perché prende almeno due direzioni: vengono interrogati i sistemi sociali (e soprattutto la sanità) per verificare se lavorano per tutti o solo per chi può pagare; ci si preoccupa dello sviluppo tecnologico in quanto strettamente collegato alle possibilità di migliorare globalmente la qualità della vita o di approfondire il divario economico e sociale.
C’è di più.
La «Bioetica Globale» inserisce lo sviluppo e la tutela della vita umana all’interno di una precisa presa di posizione ambientale. Anche qui, riassumendo, si potrebbe dire così: ognuno di noi ha a disposizione una sola vita da vivere ed un solo pianeta sul quale viverla. Pianeta che non è «nostro» ma lo abbiamo in prestito dalle generazioni future ed è l’habitat che ci consente di vivere, appunto. Dunque va tutelato. Dove si trovano queste «radici» del Pontificato? Posso indicare tre documenti e due Dicasteri, solo come indicazione. Il primo documento è l’Enciclica Laudato Si’ (2015) sulla «cura della casa comune» in cui Papa Francesco tematizza la connessione tra crisi ambientale della Terra e crisi sociale dell’umanità. Il secondo documento è la Lettera Humana Communitas (2019) alla Pontificia Accademia per la Vita dove indica i temi del rapporto tra etica, tecnologia, vita.
Il paragrafo 13 li salda così: «La medicina e l’economia, la tecnologia e la politica che vengono elaborate al centro della moderna città dell’uomo, devono rimanere esposte anche e soprattutto al giudizio che viene pronunciato dalle periferie della terra. Di fatto, le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato. Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo».
Il terzo documento è la Veritatis Gaudium (2018), il documento programmatico che definisce le modalità di lavoro delle Università Pontificie e delle Facoltà teologiche nel mondo, chiamando ad una formazione che sia «inter e trans disciplinare». I due Dicasteri che più degli altri rappresentano la «frontiera» di quanto abbiamo detto sono da un lato la Pontificia Accademia per la Vita e dall’altro il Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale. In questo impegno Papa Francesco non è solo. Certamente ha qualche problema «interno» nel coinvolgere la Chiesa in un percorso nuovo, perché la teologia e la riflessione e il Magistero, non sono immutabili. Il Vangelo è sempre lo stesso; siamo noi che lo comprendiamo meglio in rapporto alle esigenze dei nostri tempi. Sul piano della Dottrina Sociale applicata ai sistemi sanitari esiste un illuminante volume a più voci pubblicato negli Usa: Catholic Bioethics and Social Justice (2018), che mostra come l’assistenza sanitaria sia il settore dove si deve vedere in azione la Dottrina sociale ispirata ai princìpi di solidarietà, equità, accesso ai trattamenti, lotta alle disuguaglianze.
Applicato alla sanità statunitense, il libro disegna percorsi concreti innovativi e evidenzia l’ingiustizia strutturale di un’assistenza pensata per chi può pagarla. «Gli eccessi problematici dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti sono più facilmente visti da una prospettiva globale – notano i curatori del volume. Una prospettiva globale rivela anche in che modo l’economia densamente neoliberista ha avuto un impatto negativo sugli esiti sanitari per le persone dei paesi “poveri delle risorse” e ha modellato la struttura dell’assistenza sanitaria e della bioetica statunitensi. Stando in uno spazio non statunitense, si può vedere più facilmente come la bioetica neoliberista è stata esportata – nelle pratiche globali di ricerca medica, uso delle risorse, organizzazione dei servizi – che sono in gran parte invisibili alla bioetica americana».
Non a caso si parla anche di ristrutturare i servizi sanitari su base «locale». Ed intercetta il dibattito italiano sulla «medicina territoriale» che risponderebbe meglio a situazioni come quelle di pandemia globale. E qui si comprendono i motivi degli attacchi che subisce il Papa da parte dei settori conservatori della Chiesa, soprattutto in Nordamerica, che a loro volta si saldano con i tradizionalisti nostrani ed europei. I loro interessi sono economici – non «teologici» e neppure spirituali – perché una Chiesa «verde» e a favore di una visione equa dei rapporti sociali scardina «naturalmente» un sistema di interessi finanziari e privati.
Tuttavia c’è un dato nuovo: l’emergenza Coronavirus. Ora abbiamo compreso il valore della vita umana – proprio quando è minacciata la vita di tutti noi, non solo quella dei bambini non ancora nati! – e abbiamo capito meglio l’interconnessione «globale». Da qui l’esigenza di un nuovo «equilibrio» mondiale. La Chiesa ha qualcosa da dire, nonostante tutto. Il pontificato segna una strada, tutta da valutare, ma stimolante. Liquidarla sbrigativamente come «ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico» non è certo la soluzione migliore.
© Riproduzione riservata