A 61 anni, molti dei quali passati in carcere, ha deciso di collaborare con la giustizia. Di passare dalla parte dello Stato e iniziare a raccontare le vicende interne alla sua organizzazione e più in generale all’Alleanza di Secondigliano e al clan Licciardi, a cui era federato. Luigi Cimmino, ritenuto dagli investigatori uno dei capi clan storici dei quartieri Vomero e Arenella, ha iniziato a parlare con i magistrati della procura di Napoli, guidata da Giovanni Melillo, e i primi verbali sono stati depositati dal pm Henry John Woodcock nel corso dell’udienza preliminare per quaranta imputati accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver imposto tangenti e aver controllato gli appalti degli ospedali dell’area collinare di Napoli (Cardarelli, Monaldi, Cotugno, Cto e Policlinico).

Un colpo importante per la Procura partenopea che nei mesi scorsi aveva accarezzato l’idea di entrare nel cuore dell’Alleanza di Secondigliano attraverso le parole di Luca Esposito,41 anni, genero del boss Patrizio Bosti, 62, elemento apicale del Contini-Bosti. Esposito aveva iniziato a parlare con i magistrati salvo poi ritrattare tutto probabilmente dietro le pressioni dei familiari.

Una decisione quella di pentirsi, che Cimmino aveva già preso nel 2018 ma che la Procura bocciò dopo i primi interrogatori perché l’intenzione del boss – secondo la Dda – era quella di ottenere gli arresti domiciliari, evitare il 41bis e riprendere la gestione del clan. Adesso le cose sarebbero cambiate perché il 61enne dice di essere “stanco davvero” e di sentirsi pronto per mettersi alle spalle decenni di malavita. Una decisione sulla quale avrà pesato anche il recente arresto del figlio Diego, finito in carcere nell’ottobre del 2021 nell’ambito del maxi blitz nei confronti di 40 persone, alcune ritenute appartenenti all’Alleanza di Secondiglianoaltri pubblici ufficiali e imprenditori, coinvolti secondo le indagini nell’alterazione di gare di appalto ospedaliere, estorsioni alle ditte operanti presso le predette strutture: servizio di trasporto ammalati, onoranze funebri, imprese di costruzione, imprese di pulizie. In carcere 36 persone, 10 ai domiciliari e due divieti di dimora.

Ordinanza che aveva riguardato anche lo stesso Cimmino, in quel periodo tornato in libertà da pochi giorni. Il figlio Diego è accusato di aver riscosso la tangente (circa 400mila euro) che l’organizzazione avrebbe imposto al presidente del consorzio che si era aggiudicato l’appalto di 47 milioni di euro per la manutenzione straordinaria e l’adeguamento funzionale-tecnologico dei padiglioni C, E, G, L, O e S del Cardarelli.

Il boss appassionato dei libri di John Grisham, venne arrestato nel marzo del 2016 a Chioggia (Venezia). I carabinieri della sezione Catturandi del Nucleo Investigativo di Napoli lo trovarono nascosto in un armadio all’interno di un appartamento dove viveva con un operaio casertano incensurato. All’epoca a tradirlo furono alcuni medicinali per la cura del diabete che i militari trovarono all’interno dell’abitazione. I carabinieri sapevano della patologie del boss e così approfondirono le ricerche, trovandolo nell’armadio.

Cimmino nel giugno del 1997 era l’obiettivo del commando di fuoco facente capo al boss Giovanni Alfano che entrò in azione in Salita Arenella dove era in corso un summit tra gli esponenti del clan Cimmino-Caiazzo. Nell’agguato un proiettile vagante colpì alla testa Silvia Ruotolo, 39enne, che morì poco dopo. In un’intervista rilasciata nel 2011 a Repubblica, Rosario Privato (divenuto collaboratore di giustizia e di recente tornato a Napoli dopo l’uscita dal programma di protezione, ndr), uno dei killer entrati in azione, pentitosi dopo l’arresto avvenuto in Calabria un mese dopo il delitto, racconta a Elio Scribani la storia di un agguato di camorra dove perse la vita Silvia Ruotolo e venne ferito, durante la fuga dei killer, Riccardo Valle, studente universitario.

L’AGGUATO – Killer di fiducia del boss Alfano, Rosario Privato racconta gli attimi che hanno preceduto la tragedia. Il commando partì dalla Torretta dopo la telefonata che segnalò il summit in corso. “Eravamo in cinque su due macchine e avevamo sei pistole”. Una volta arrivati a Salita Arenella vengono esplosi oltre 30 proiettili in due diverse occasioni. Nel primo agguato, dove morì Salvatore Raimondi e venne ferito Luigi Filippini, elementi affiliati al clan rivale, una pallottola di piombo “che era entrata e uscita dalla spalla di uno dei due sulla Vespa” ferì mortalmente Silvia Ruotolo. Attimi concitati dove il killer racconta di non essersi reso conto di nulla, se non dei due a bordo di una Vespa che dovevano essere uccisi perché “pensai che ci avessero scoperti“, aggiungendo che la notizia della morte di una donna innocente l’apprese successivamente dal telegiornale.

IL BAGNO A MARE –  “Dopo l’omicidio – racconta Privato -, quando sono sceso alla Torretta, sono andato al mare per togliere la polvere da sparo dalle mani”.  Braccio destro del boss Alfano, Privato durante la sua carriera criminale ha confessato 40 omicidi. Come killer veniva pagato “9-10 milioni (di lire, ndr) al mese”, poi quando divenne braccio destro del boss riusciva a portare a casa “40-50 milioni al mese“.

L’ARRESTO DEL BOSS TRA LE URLA DA STADIO – Luigi Cimmino è stato arrestato in un primo momento il 20 luglio del 2015 insieme agli altri quattro affiliati. Non passò inosservato lo “spettacolo” andato in scena all’esterno del Comando dei carabinieri della Compagnia Vomero. All’uscita del boss, le donne presenti sul marciapiede di fronte gli dedicarono cori e messaggi d’amore (“Bravo, bravo”, “ti amooo!”). La detenzione in carcere dura appena 11 giorni. Cimmino e i suoi affiliati tornano a casa grazie alla decisione del Tribunale del Riesame che non ha ritenuto sufficienti le prove raccolte dalla DDA partenopea.

La Procura però non si arrende e, grazie anche a ulteriori indizi raccolti dai carabinieri del Vomero, riesce a ottenere un nuovo ordine di carcerazione per Cimmino e per il genero Pasquale Palma. Ordine scattato a febbraio del 2016 con il boss che, consapevole dei rischi che correva, taglia la corda dandosi a una latitanza durata poco più di un mese. Il 5 marzo infatti i militari lo scovano in un appartamento di Chioggia, in provincia di Venezia. Aveva una borsa pronta per una possibile ripartenza e 7mila euro in contanti. Nella stessa giornata a Napoli i carabinieri hanno arrestato Pasquale Palma che si nascondeva in un appartamento in via Matteo Renato Imbriani.

AMANTE GELOSA – Lo stesso Cimmino, nelle indagini condotte dalla Procura e dai carabinieri, è stato condizionato dall’atteggiamento, eccessivamente geloso, dalla sua amante. La donna infatti, temendo di essere tradita, chiedeva esplicitamente al suo boss di chiamarla quando si recava dalle famiglie degli affiliati detenuti per consegnare le “mesate“. Cimmino per dimostrare la sua fedeltà, andò a consegnare due stipendi ad altrettante mogli di detenuti mentre era a telefono con l’amante. L’intercettazione viene così carpita dai carabinieri che ottengono informazioni vitali sulla vicenda. Dalle indagini, inoltre, è emerso che il clan si è anche prodigato per pagare le spese matrimoniali alla figlia di uno dei suoi affiliati storici.

Avatar photo

Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.