Matteo Salvini blinda Giovanni Toti e scarica Luca Zaia. Con il risultato di scontentare tutti in una Lega in subbuglio. Da un lato c’è la rivolta dei veneti, che sono a dir poco irritati dalle parole del vicepremier sulle prossime regionali in Veneto. Zaia? “Per le regionali venete ho già in mente una decina di nomi”, ha detto Salvini. Che poi ha certificato il suo passo indietro sulla battaglia leghista per il terzo mandato ai governatori: “Il terzo mandato l’abbiamo proposto e votato solo noi della Lega, ma l’hanno bocciato tutti. Il Pd è contro, Fratelli d’Italia è contro, i Cinque Stelle sono contro, Forza Italia è contro: non è che posso riproporre a me stesso sempre la stessa roba”. Una resa. Come quella sull’autonomia, che arriverà in Aula dopo le elezioni europee.

L’ultima speranza è Vannacci

“Mollare Zaia in Veneto significa lasciare la regione a Fratelli d’Italia. Altro che dieci nomi”, si sfoga a taccuini chiusi un dirigente leghista del Veneto. “Salvini ormai pensa solo a Vannacci”, scherza maliziosamente un deputato della Lega. A pochi mesi dall’inizio del congresso del Carroccio, previsto in autunno, la sensazione è quella del liberi tutti. Salvini tira dritto per la sua strada e scommette sull’exploit di Roberto Vannacci al voto di giugno. Il papa straniero, la ciambella di salvataggio per evitare di finire sotto Forza Italia. Intanto Luca Zaia resta in silenzio e si gode il sondaggio di Swg, che lo accredita come governatore più amato d’Italia. A dare corpo ai sospetti dei leghisti veneti e “nordisti”, convinti che Salvini abbia mollato il Veneto a FdI, c’è il rilancio di Raffaele Speranzon, deputato veneto in forza ai meloniani, vicecapogruppo di FdI a Montecitorio: “Fratelli d’Italia non solo alle Politiche è stato il primo partito in Veneto ma ha più che doppiato il secondo della coalizione di Centrodestra, la Lega, e il Veneto è stata la regione dove abbiamo preso la percentuale più alta in tutta Italia”. Il messaggio di Speranzon è chiaro ed è, ovviamente, vidimato da Giorgia Meloni: “La nostra classe dirigente orgogliosa di questi risultati si aspetta di guidare il Veneto. E, quindi, se le Europee confermeranno questi numeri e se la democrazia ha un senso, la presidenza del Veneto nel 2025 spetterà a Fratelli d’Italia”. Ancora: “Salvini parla di dieci nomi per la Lega? Io sono più contenuto: abbiamo almeno mezza dozzina pronta a fare il governatore”. Tra i papabili candidati presidente in quota FdI c’è lo stesso Speranzon, ma anche il senatore Luca De Carlo, sindaco di Calalzo di Cadore, in provincia di Belluno.

Le spine di Salvini

Dal Veneto alla Liguria. Si allontana da Zaia e finisce nel mirino dei veneti e di buona parte del Carroccio. Blinda Toti e si mette contro mezzo partito. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è il leader del centrodestra che sta difendendo con più convinzione il presidente della Liguria finito agli arresti domiciliari. Salvini ha fatto da scudo a Toti, arrivando a parlare della magistratura come di “una casta impunita”. “Vorrei sapere se ci fossero microspie negli uffici di qualche magistrato, per quanto tempo continuerebbe a fare il magistrato”, ha detto Salvini venerdì scorso. Toni diversi dalla difesa più sfumata messa in piedi dagli alleati di Fratelli d’Italia e Forza Italia. Stando a indiscrezioni che arrivano dal capoluogo ligure, sono soprattutto i meloniani a essere ansiosi di fare il foglio di via a Toti. Tolto dal campo il presidente arrestato, FdI potrebbe ambire alla guida della Liguria.

Ma la difesa a oltranza dell’ex giornalista Mediaset da parte di Salvini suscita perplessità anche dentro la Lega. Edoardo Rixi, plenipotenziario della Lega in Liguria, ci va con i piedi di piombo, a differenza del segretario federale: “O si chiariscono le questioni durante il riesame, oppure è difficile pensare di governare per due anni in assenza di governatore”. Lapalissiano. Eppure queste considerazioni stridono non poco con i toni sfoderati da Salvini. I muscoli del Capitano nella difesa di Toti fanno risorgere altre nostalgie della Lega delle origini. Quella che ce l’aveva “duro”. Quella del cappio mostrato in Aula in Parlamento mentre fuori infuriava Tangentopoli. Spuntano perfino i bossiani-nordisti che rimpiangono il giustizialismo manettaro dei tempi che furono. Salvini insiste: “Nessuno usi le inchieste per bloccare i cantieri”.
Tutto ciò a dimostrazione del fatto che la Lega è diventata una polveriera. E Vannacci è la classica goccia che può far traboccare il vaso da un momento all’altro. La fragilità degli equilibri interni a Via Bellerio è resa plasticamente dalle acrobazie concettuali del capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo, che prova a tenere insieme l’ostilità politica nei confronti di Vannacci e il sostegno a Salvini. “Vannacci non mi è mai piaciuto particolarmente come persona e le sue idee non le condivido, specialmente quando parla delle donne e dell’orientamento sessuale, tuttavia la mossa di Salvini di candidarlo è utile per dare un valore aggiunto alla Lega”, spiega Romeo. E le sue parole sono la fotografia di un partito che è tutto e il contrario di tutto.