L'editoriale
Il consenso va usato per cambiare, non per restare a galla: la vera sfida di Giorgia Meloni
Vuole durare. Non è una confessione esplicita, ma l’obiettivo più che legittimo traspare, tra voci di corridoio che negano finanche innocenti rimpasti (si sa come cominciano, non si sa mai come finiscono) e primi conti che iniziano a circolare sulla longevità governativa dei suoi predecessori: ha molta strada davanti a sé, ma i presupposti ci sono, quanto a consistenza della maggioranza e solidità della sua leadership interna.
Naturalmente per durare bisogna essere più bravi degli altri. Lei lo è, per esperienza politica maturata non nel friabile e oscillante campo della sondaggiologia ma nella ruvida e faticosa militanza come nella frequentazione di tante volpi poi finite in pellicceria: se la politica è una tecnica (e lo è) non c’è dubbio che lei oggi ne possiede in abbondanza.
Resta da vedere se le sue alchimie combinatorie, di cui parliamo oggi in dettaglio (la conquista del Nord, la riforma del premierato, il referendum da fare slittare al 2028), troveranno intanto un primo, adeguato distillato nelle percentuali che conquisterà il prossimo 8 giugno. E soprattutto se resteranno solo ingegneria politica e istituzionale o si tradurranno in un progetto effettivo di ammodernamento del paese, che deve affondare nella carne viva di una società poco incline (eufemismo) a mettersi in discussione.
Perché il problema italiano, in fondo, non è mai stato quello dell’assenza di politici bravi sul piano tattico, quanto di leader capaci di utilizzare il consenso per cambiare il paese, non per restare a galla. È questa la tua sfida, cara Giorgia.
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