Il documento
Denuncia all’Onu: Roma manda i naufraghi in Libia

“Qui Mrcc Roma. A nome della Guardia costiera libica per la salvezza delle vite in mare vi preghiamo di procedere alla massima velocità per dare assistenza ad una barca in difficoltà con circa 70 persone a bordo. Vi preghiamo di contattare urgentemente la Guardia costiera libica attraverso questo centro di ricerca e soccorso ai seguenti numeri di telefono”. Ai quali rispondono sempre gli italiani.
Ecco il documento che dimostrerebbe come fu l’Italia a coordinare il 7 novembre del 2018 il salvataggio di un gruppo di naufraghi riportati in Libia dal mercantile Nivin, battente bandiera panamense. Si tratta di un dispaccio del centro di ricerca e soccorso di Roma delle 19.39 di quella sera. Quei naufraghi, 93 in realtà, furono avvistate prima da un aereo di Eunavformed, poi dal centralino Alarmphone. A Misurata furono sbarcate dall’esercito libico. Un respingimento di massa illegittimo, contrario al diritto internazionale, che sarebbe stato coordinato dall’Italia secondo una strategia di salvataggio delegato ai privati. Questa modalità di comportamento – secondo un rapporto redatto da Charles Heller di Forensic Oceanography, ramo della Forensic Architecture Agency alla Goldsmiths University of London – sarebbe stata adottata dall’Italia e dall’Europa per 13 volte nell’ultimo anno. Il caso è scoppiato grazie a un lavoro svolto da Msf che, caso finora unico, ha rintracciato queste persone nei centri di detenzione. Per questo il Glan, l’organizzazione di avvocati, accademici e giornalisti investigativi Global legal action network ha presentato una denuncia contro l’Italia al Comitato per i diritti umani delle Nazioni unite per conto di uno dei migranti riportati indietro.
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