In una recente intervista apparsa sull’Espresso di Susanna Turco ad Antonio Di Pietro, l’ex pm ha dichiarato che Mani Pulite è nata in realtà da Falcone dentro il maxi processo di Palermo, aggiungendo che Craxi fosse solo uno dei suoi obiettivi. Al contrario, nelle sue intenzioni, avrebbe arrestato Andreotti. E poi aggiunge: «Mani pulite non è stata fermata dalla politica: è stata fermata dai giudici». Dichiarazioni forti che riscrivono la storia degli ultimi trent’anni, visto che come ricorda Di Pietro, «Mani pulite ha generato un’onda antipolitica e la nascita non solo del Movimento 5 stelle, ma anche dell’Italia dei valori».

L’ex pm non si risparmia neanche sull’abuso d’ufficio, considerandolo ormai di moda, e su Davigo, dal quale prende le distanze, impugnando il Codice penale e ripercorrendo tutta la sua carriera. Da quando era poliziotto a indagato, da testimone a imputato, Di Pietro dice: «Ho visto così tante giustizie, che le certezze granitiche di Davigo non ce le ho più». Ma è sicuramente su Mani pulite che rivela elementi inediti, specie a proposito dell’esito dell’inchiesta del maxi-processo di Palermo, quando «Falcone riceve, riservatamente, da Tommaso Buscetta la notizia che è stato fatto l’accordo tra il Gruppo Ferruzzi e la mafia» e poi, continua, «Falcone dà l’incarico al Ros di fare quel che poi è divenuto il rapporto di 980 pagine che doveva andare a Falcone, prima di essere trasferito».

Un’inchiesta che la politica non avrebbe potuto fermare, se i giudici avessero fatto il loro dovere. E d è proprio sull’interruzione di Mani pulite, quando arriva alla connessione appalti-mafia che Di Pietro si fa più reticente. Ha intenzione di parlarne, ma non ora, ha carte e documenti, ma ha pensato addirittura di farli bruciare, nonostante l’opposizione di sua moglie e sua figlia, e attende il momento in cui questa storia venga rivista. Per Di Pietro, quindi «Mani pulite nasce come figlia di Mafia pulita» e spiega che Raul Gardini, che si suicida il 23 luglio 1993, lo fa perché sa che quella mattina, recandosi proprio da Di Pietro, «avrebbe dovuto fare il nome di Salvo Lima, che aveva ricevuto una parte della tangente Enimont da 150 miliardi di lire».

È proprio questo ad aprire un nuovo scenario nel caso. Se Gardini avesse parlato e se Salvo Lima non fosse morto, Di Pietro avrebbe quindi avuto «elementi sufficienti per chiedere al Parlamento di arrestare Andreotti». E invece, cosa succede? Succede che con una serie di esposti alla procura di Brescia, Di Pietro è costretto a dimettersi, altrimenti sarebbe stato arrestato, perché sul suo capo gravava il reale pericolo di inquinamento delle prove, finché era magistrato.