Draghi al Quirinale, cosa è il presidenzialismo di fatto: la ‘proposta scandalo’ di Giorgetti

Fanno scandalo, soprattutto negli ambienti che per lo scandalo rivelano una particolare inclinazione, le dichiarazioni del ministro Giorgetti. Questi ha parlato di “semipresidenzialismo di fatto” alludendo all’ipotesi di un’elezione di Draghi alla Presidenza della Repubblica e alla nomina di un presidente del Consiglio disponibile a proseguire nell’indirizzo politico dell’attuale governo. Al di là dei tanti possibili messaggi in codice, che le dichiarazioni degli esponenti politici in genere contengono, e la cui interpretazione lascio volentieri ai retroscenisti per manifesta incapacità del sottoscritto, mi pare che, dal punto di vista costituzionale, strapparsi teatralmente le vesti sia assolutamente fuori luogo.

In buona sostanza, Giorgetti ha invocato un patto politico per affrontare la prossima scadenza dell’elezione del Capo dello Stato. Un patto politico che, muovendo dalla premessa dell’improbabilità di una ricandidatura del presidente Mattarella (che molti invece auspicherebbero), collochi la convergenza parlamentare per un elezione di Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica nel solco della continuità politica con il Governo da lui presieduto. Il che, in un mondo non ancora totalmente schizoide, mi sembrerebbe scontato. Tale continuità sarebbe poi rafforzata dalla circostanza che, sempre con un patto politico, non con i carri armati, i partiti, in sede di consultazioni, e il Parlamento, in sede di votazione della fiducia, scelgano un presidente del Consiglio (ovviamente consenziente) che gode del sostegno di una maggioranza omogenea a quella che ha eletto il presidente della Repubblica. Strategie per l’elezione del capo dello Stato si son sempre imbastite dall’inizio della Repubblica. Semmai in questo caso – atteso l’intrico di caselle in gioco – si tratterebbe di vigilare attentamente sui passaggi istituzionali che hanno una loro delicatezza e che, inevitabilmente, coinvolgono anche il presidente della Repubblica uscente, cui va riconosciuto il massimo rispetto.

Insomma Giorgetti lancia, mi pare, una proposta politica, che ovviamente si può senz’altro contestare e osteggiare duramente, ma pur sempre di un disegno politico si tratta. Non c’è nessuna eversione dell’ordine costituito. Quanto alla provocazione del “semipresidenzialismo di fatto”, anche qui sembra difficile rintracciare una notizia quale che sia. Innanzitutto perché solo chi non conosce la logica delle istituzioni parlamentari può ignorare la circostanza che tra presidente del Consiglio e presidente della Repubblica ci dev’essere (e c’è sempre stato) un confronto costante. A volte più armonico, altre più dialettico. Un confronto nel quale le personalità dei protagonisti contano, con prevalenza dell’uno o dell’altro a seconda dei caratteri, dei momenti e delle circostanze (fin dalla coppia Einaudi-De Gasperi). Che tali personalità si possano e debbano confrontare è testimoniato anche icasticamente da quell’articolo della Costituzione (l’89) il quale prevede che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”. Più collaborazione di così.

Più in generale, il modello del governo parlamentare è per sua stessa costituzione strutturato sulla possibilità che il presidente della Repubblica, in situazioni di crisi del sistema, possa esercitare un legittimo ruolo di supplenza rispetto allo stallo delle forze politiche. Si tratta di un’eventualità assolutamente coerente e rispettosa del sistema costituzionale. Tant’è che di momenti di “semipresidenzialismo di fatto”, cioè – fuor di provocazione – di supplenza necessitata del Capo dello Stato, l’Italia ne ha conosciuti a decine soprattutto negli ultimi trent’anni. La stessa Presidenza Draghi è frutto di uno di questi momenti di stallo, nel quale le forze politiche si sono dimostrate incapaci di esprimere una proposta condivisa al presidente della Repubblica, che si è visto costretto a farsi maieuta di una soluzione che sbloccasse l’impasse. La cosa che, invece, dovrebbe scandalizzare, ma a quanto pare non scandalizza nessuno, è che malgrado le istituzioni italiane versino in questa situazione di stallo semi-permanente, malgrado l’instabilità cronica abbia reso la necessità degli interventi presidenziali di soluzione della crisi ormai una costante, e malgrado le numerose invocazioni, anche degli stessi Presidenti della Repubblica, nulla è stato fatto per affrontare il male oscuro della nostra democrazia.

Nulla è accaduto. Ma soprattutto ci si è ormai rassegnati al fatto che nulla accadrà e che dovremo tenerci queste istituzioni pericolanti per un tempo indefinito. La vera novità non è un “semipresidenzialismo di fatto”. La vera novità sarebbe una vera riforma “di diritto” che prenda atto, una volta per tutte, che non si può andare avanti così se si vuole far cambiare passo al paese. Anche i Draghi purtroppo passeranno, ma senza riforme che mettano in sicurezza il futuro, nulla, proprio nulla, consente di sperare che il dopo sia qualcosa di meglio di un ineluttabile ritorno al passato. Magari ci fosse un patto politico tra le forze politiche per riforme istituzionali profonde ed efficaci e che tale patto avesse in una personalità come Draghi il garante che vigila alla loro attuazione. Altro che semipresidenzialismo di fatto, questa sarebbe una svolta epocale. Con buona pace dei farisei annidati sugli spalti.