In queste elezioni ci sono alcuni elementi netti e chiari, altri molto più complessi. In primo luogo ha vinto il governo Draghi. In questo contesto non è facile per nessuno proporre elezioni anticipate, tanto meno per Salvini. Il Pd ha certamente vinto, ma sul suo successo bisogna distinguere l’apparenza dalla realtà. In secondo luogo, Forza Italia ha messo in evidenza che senza un forte centro il centro-destra nel suo complesso non va da nessuna parte. Calenda ha segnato un punto non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale. Calenda è stato dissennatamente attaccato nella fase finale della campagna elettorale da Boccia e Orlando che l’hanno addirittura definito come il candidato della Lega: da un lato una sorta di socialfascismo di ritorno, dall’altro lato un autogoal alla Niccolai; e adesso come la mette il Pd a Roma con Calenda e i suoi elettori che sono per molti aspetti decisivi? A loro volta i grillini sono andati incontro ad una disfatta. L’unico posto in cui almeno hanno retto è Roma con il 19% della Raggi, che però con la Appendino segna la fine delle due esperienze di sindaco fatte dal Movimento 5 stelle. Alla luce di questi risultati del Movimento 5 stelle (ha tenuto a Napoli, ma il suo 10% segna un calo di circa 30 punti) di conseguenza non ci sembra che, malgrado la grancassa mediatica che viene suonata in questi giorni, rispetto al 2023 il Pd abbia risolto i problemi di fondo riguardanti le alleanze e la strategia politica.

Come ha ricordato giustamente Cacciari un conto sono le elezioni politiche, un altro quelle nazionali. In ogni caso i risultati dei ballottaggi a Roma e a Torino daranno il segno effettivo su chi ha davvero vinto o perso queste elezioni amministrative. Ciò non toglie che queste elezioni hanno messo anche in evidenza che il centro-destra è di fronte a enormi problemi. A dire la verità questi problemi riguardano la destra del centro-destra. La questione non sta certamente nel ritardo con cui sono stati scelti i candidati. Il primo problema è costituito proprio dalla scelta come tale dei candidati. A Milano il centro-destra è andato incontro non ad una sconfitta, ma ad un disastro che sfiora il ridicolo. Anche a Napoli, a parte le liste bocciate, la scelta del candidato era molto discutibile: dopo tutte le polemiche giustamente sollevate sul “partito dei giudici” presente nelle liste del PCI, del PDS e poi dello stesso PD, a Napoli il centro-destra non ha trovato di meglio che proporre un pm della procura di quel circondario, una procura che nel passato remoto e recentissimo ha sempre massacrato Forza Italia.

Ma c’è qualcosa di più profondo nel voto che va al di là delle stesse scelte sbagliate sulle persone dei candidati. È evidente infatti che l’astensionismo ha colpito specialmente i grillini e i partiti di destra. Allora emerge un problema di fondo. A fronte di un paese colpito in modo così profondo dalla pandemia, non è riuscito a parlare agli italiani un centro-destra dominato da due partiti di destra scatenati sul terreno del sovranismo e del populismo. Perdipiù Salvini e Meloni hanno messo in evidenza una scarsa affidabilità proprio sul terreno della lotta al virus. Entrambi hanno civettato con i no vax e la loro contestazione del green pass li ha messi in contraddizione proprio con le categorie produttive, non solo le imprese industriali, ma anche i lavoratori autonomi (bar, ristoranti, negozi, etc.). In secondo luogo, poi, in una situazione nella quale il presente e il futuro dell’Italia dipendono da un difficile rapporto contrattuale con l’Europa, la contestazione dell’euro svolta a giorni alterni dal trio Salvini-Borghi-Bagnai ha inferto un altro colpo proprio alla credibilità della Lega di Salvini.

A proposito delle ultime vicende riguardanti da un lato il caso Morisi, dall’altro lato Fratelli d’Italia a Milano, ci sembra necessario fare alcune osservazioni al di fuori degli schemi consueti. Paradossalmente, sulla vicenda Morisi ci sembra che una parte della sinistra abbia espresso una sorta di inconscia omofobia. Francamente il problema da mettere in evidenza non era l’infortunio a cui è andato incontro Morisi nella sua vita privata, ma ben altro e cioè proprio il mostro comunicativo cui d’intesa con Salvini egli ha dato vita: “la bestia”. A nostro avviso la contestazione della “bestia” da parte della sinistra doveva essere molto più forte e radicale fin dalle origini, cioè da quando essa è nata con Salvini al ministero dell’Interno. Siamo arrivati al punto che Salvini ha guidato una manifestazione sotto la casa della prof.ssa Fornero sull’onda degli attacchi condotti dalla “bestia”. Poi sono state linciate una serie di persone fra cui la famiglia Cucchi (con slogan attinenti all’uso della droga e allo spaccio) e Maria Elena Boschi. La bestia è stata una sorta di versione moderna dello squadrismo (cosa diversa dal fascismo, ma anch’esso del tutto inaccettabile nella sua violenza mediatica).

Per ciò che riguarda la vicenda milanese di Fratelli d’Italia, attendiamo le chiarificazioni che farà la magistratura alla luce della conoscenza di tutto il materiale raccolto, tuttavia non possiamo fare a meno di dire che ci vengono i brividi nella schiena di fronte a una cosiddetta inchiesta giornalistica svolta per tre anni da un cronista in incognito, che ha svolto anche la funzione di agente provocatore e che ha raccolto tutto quello che in un certo ambiente si è detto. È giornalismo, è spionaggio, è killeraggio con una missione precisa visto anche che i dieci minuti di trasmissione televisiva tratti dalle cento ore di intercettazioni sono stati dati il giorno prima della conclusione della campagna elettorale? Diversamente dalla versione prevalente, noi riteniamo che queste elezioni sono state più perse dal centro-destra che vinte dal centro-sinistra.

Fortunatamente al governo c’è Draghi con la sua linea riformista, europeista, garantista e con il suo prestigio internazionale che costituisce un punto fermo che secondo noi deve arrivare fino al 2023. Poi sul piano programmatico, su quello del garantismo, sul terreno delle alleanze politiche e sociali il Pd non ha in mano nessuna soluzione che valga per le elezioni politiche del 2023, deve fare tuttora molte riflessioni e liberi dibattiti. Talora le vittorie riempiono la pancia e ottundono il cervello. Le sconfitte possono servire di lezione se viene superato il limite costituito dall’arroganza e dalla rozzezza. Comunque non è scritto che alle prossime elezioni politiche il centro-destra si impegnerà per far vincere il Pd con la determinazione messa in atto in queste elezioni amministrative. Di fronte a questi risultati elettorali che hanno bocciato tutta la sua linea politica, il suo approccio mediatico e anche le sue scelte in materia di candidati, Salvini ha subito dato il calcio dell’asino, non facendo partecipare la delegazione della Lega al Consiglio dei ministri dedicato alla riforma fiscale. In effetti l’asino di calci ne ha tirati due, uno a Draghi, l’altro a Giorgetti, che perdipiù ha il gravissimo torto di aver avuto ragione su tutta la linea e anche di averlo detto pubblicamente.

Adesso Salvini sta sfogliando la margherita, non sapendo se gli convenga più rimanere al governo tirando ogni giorno tre calci oppure se uscirne raggiungendo la Meloni all’opposizione (ma già questo sarebbe uno smacco nella dialettica interna alla destra). Non è una decisione di poco conto per un partito che, oltre a diversi saltimbanchi e avventurieri sparsi per l’Italia specie del Sud, ha anche un nocciolo duro costituito da presidenti di Regione, sindaci, da alcuni ministri e un retroterra sociale del Nord formato da un pezzo dell’industria e dell’agricoltura italiani. È evidente che, nella sostanza, nella Lega è aperto un autentico congresso, anche perché essa è andata incontro ad una autentica disfatta sul piano politico ed elettorale. Il fatto è che Salvini paga le conseguenze di un incredibile errore fatto subito dopo la decisione di entrare al governo. In politica non c’è niente di peggio che fare le scelte a metà. Nel momento in cui Salvini è entrato al governo egli avrebbe dovuto chiedere al suo amico Berlusconi di aprire un discorso con il Ppe.

In quel modo avrebbe fatto una mossa valida per il presente e per il futuro, visto anche che ha l’ambizione di essere dopo le elezioni del 2023 il futuro presidente del Consiglio. Invece, subito dopo essere entrato al governo, Salvini ha firmato con Giorgia Meloni un documento con i sedici partiti sovranisti europei, scelta logica per la Meloni, ma del tutto suicida per il leader della Lega. Ma davvero Salvini (ma l’interrogativo vale anche per la Meloni) pensa di diventare presidente del Consiglio sfidando l’Unione europea? Comunque seguendo questa linea a zigzag Salvini non solo ha perso questa tornata amministrativa, ma si è cacciato in una situazione nella quale rischia di sbagliare in ogni caso: sia se rimane al governo, sia se ne esce.