La “crisi” di governo, se mai è iniziata, è già finita. Con Salvini che accusa e minaccia ma spara a salve («basta correggere due frasi») perché poi resta dov’è. E Draghi che replica: «Bene, la risposta del segretario Salvini è arrivata, quindi il governo va avanti. Avremo poi modo di parlarne, di persona. È chiaro però l’azione del governo non può seguire il calendario elettorale». A riprova che lo strappo di ieri – ministri leghisti assenti dal consiglio dei ministri – e il controstrappo di Draghi – tirare dritto, anche senza Lega, in un provvedimento chiave come la legge-delega per la riforma del fisco – vanno letti in chiave squisitamente politica. Da parte di Salvini, è stata una reazione nervosa che ha cercato di scaricare sul governo, non potendolo fare sugli alleati, il flop delle amministrative. Da parte sua Draghi ha messo in campo il suo pragmatismo, un “whatever it takes” in salsa italiana decidendo di andare dritto e di rischiare un Papeete 2. Che non si è consumato ma che indubbiamente rischia di logorare l’azione del governo.

La crisi e il relativo chiarimento si chiudono per l’ora di pranzo. E la scena è un po’ imbarazzante. Alle 12 e 20 Matteo Salvini tiene un punto stampa davanti agli uffici della Lega in piazza San Luigi dei Francesi. Esce dal portone con dei fogli in mano, il testo della legge delega, e li sventola a favore di telecamere. «Siccome noi siamo al governo per abbassare le tasse e non aumentarle, vi invito a leggere l’articolo 7 comma 2, punti a e b…». È l’articolo della legge delega che riguarda la revisione del catasto, una riforma che ci chiede l’Europa e che tutto il centrodestra ha sempre bocciato perché una rivalutazione degli immobili presuppone un immediato aumento del valore catastale e quindi più tasse per i proprietari. «Qui c’è scritto – dice Salvini – che il governo è delegato ad attribuire a ciascuna unità immobiliare oltre la rendita catastale anche il valore patrimoniale e la relativa rendita in base ai valori di mercato. E poi – continua – al punto B si legge di prevedere meccanismi di adeguamento periodico… ecco, basta saper leggere per capire che questa è una patrimoniale nascosta tra le righe. La Lega dice no a questa roba qui che sarà modificata in Parlamento in questi due punti». Altrimenti uscite dal governo? «Ma neanche per idea, escano Letta e Conte».

Il leader della Lega cerca di spiegare il suo strappo del giorno prima con argomenti e temi seri. Per non sembrare un leader ferito e frustrato. Ma il bluff dura lo spazio di qualche riga. Che Salvini non legge per evitare di mettersi nudo con le proprie mani. Anche ammesso che non si fidi delle parole di Draghi che ha detto e ripetuto che la delega riguarda «l’emersione di immobili e terreni non accatastati, un lavoro informativo e di trasparenza che si concluderà nel 2026 e quindi nessuno pagherà un euro in più né un euro in meno», proprio all’articolo 7 si legge che la «riforma dovrà essere disponibile a partire dal primo gennaio 2026». Significa che per cinque anni non cambierà assolutamente nulla. Non solo: per essere ancora più esplicito, il governo scrive che «le nuove informazioni rilevate non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali». Pare sia stata un’aggiunta suggerita dal ministro Brunetta. È un fatto che Forza Italia, Berlusconi in testa, da sempre contraria alla riforma del catasto, sia molto soddisfatta di questa delega proprio perché non ci sono nuove tasse.

In un dialogo a distanza che ormai va avanti da 24 ore, arriva subito la replica di Draghi impegnato in Slovenia per un vertice Ue-Balcani (delicatissimo, ad esempio, per la questione energetica, migranti e sicurezza). Il premier lo aveva detto il giorno prima in conferenza stampa a Roma: «L’assenza della Lega in consiglio dei ministri è un fatto molto grave, sentiremo cosa ha da dire Salvini». Ascoltati gli argomenti del capo della Lega, Mario Draghi ha potuto a sua volta argomentare una risposta. E smontare i motivi dello strappo. «La riforma del catasto non è una patrimoniale e non ci sarà un aumento del carico fiscale sulle case degli italiani». Piuttosto, si tratta di «un’operazione di trasparenza che dura 5 anni. Una decisione sulle tasse ci sarà nel 2026. Secondo qualcuno è possibile che la revisione delle rendite possa portare al calo dell’imposizione». E poi, punto su punto, slogan contro slogan, «questo governo non tocca le case degli italiani e non intende aumentare le tasse: lo abbiamo detto fin dall’inizio, sono passati sette mesi e non lo abbiamo fatto nonostante ci siano state molte richieste di questo senso e per non turbare la bella ripresa economica». Dunque «il governo va avanti», non c’è alcuna crisi né verifica di maggioranza.

Il punto è che le tensioni non finiranno. Salvini infatti sembra aver deciso di stare al governo facendo campagna elettorale sulla pelle dell’esecutivo. Da no pass a no tax, ieri è ripartito lancia in resta contro il Cts in difesa delle discoteche: «Riaperte al 35%? Una misura ridicola». Una modalità di lotta e di governo inaugurata sette mesi fa e che però non sembra aver convinto gli elettori. Il tradimento delle periferie che non sono andate a votare può essere figlio anche di questo. Salvini non può scaricare sugli alleati di coalizione. Fratelli d’Italia inizia a soffrire della stessa sindrome e per quanto sia rimasta all’opposizione, quali argomenti troverà per la campagna elettorale di fronte ad un governo che governa senza farsi tirare per la giacchetta da una parte e dall’altra? Forza Italia, che sta al governo come il cacio sui maccheroni cioè benissimo, in questo momento non fa nulla perchè l’obiettivo del partito da qui ai prossimi mesi è uno solo: Silvio Berlusconi presidente. Regola numero uno, quindi: criticare il meno possibile alleati e non perché poi serviranno i voti di tutti. Il Pd, da parte sua, non fa certo un regalo a Draghi punzecchiando e provocando di continuo il leader della Lega. «Salvini fa solo casino dopo uno smacco elettorale pesante» continua a mettere il dito sulla piaga il segretario dem Enrico Letta. Ma al Pd non si può sempre chiedere di essere responsabile al cubo, per sé e anche per gli altri.

Nei prossimi mesi Draghi avrà quindi a che fare con una maggioranza sempre più litigiosa. Su cui adesso si innesta un altro elemento di tensione: l’area “pragmatica-progressista-riformista” che non si è riconosciuta nel centrodestra e nel centrosinistra, a Roma ha dato il 19,2% dei consensi a Carlo Calenda e che potrebbe diventare attrattiva. Soprattutto potrebbe spingere per un sistema elettorale proporzionale. Azione, Italia viva e + Europa hanno raggiunto, in queste elezioni, una media nazionale del 10,6% nei comuni sopra gli 80 mila abitanti, dove cioè scatta un minimo di voto di opinione. Secondo i dati ufficiali di BiDiMedia, il polo Liberal (se non piace Centro) è al quarto posto dopo Pd (22,1%), Fratelli d’Italia (12,7), liste civiche di centrosinistra (11,1%). È un ottimo punto di partenza. Superiore a M5s (7,6%), Lega (7,3) e Forza Italia (5,2). In Germania la Spd tenterà di fare la maggioranza con i Verdi e i Liberali. Per l’appunto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.