Proprio alla vigilia del voto per le amministrative del 3 ottobre si è aperto il dibattito sull’elezione del presidente della Repubblica, che deve avvenire nel 2022, mentre come è noto la scadenza normale delle elezioni politiche è un anno dopo, nel 2023. Questa sfasatura rischia di essere devastante. Perdipiù è ovvio che questo dibattito si è aperto nelle condizioni peggiori, al massimo del nervosismo, per molteplici ragioni.

La prima causa di questo nervosismo è costituita dal fatto che, a meno di sorprese straordinarie, dai sondaggi risulta che il centro-destra ha sbagliato i candidati sindaci a Milano (candidato Bernardo indicato da Salvini con la raccomandazione della senatrice Ronzulli), a Roma (candidato Michetti indicato da Giorgia Meloni), a Napoli (candidato Maresca pubblico ministero indicato da non si sa chi). A quanto sembra gli unici candidati di centro-destra con possibilità di successo sono Damilano a Torino, sostenuto da Giorgetti, e Occhiuto come presidente della Regione, attuale capogruppo di Forza Italia alla Camera. Ad accentuare il nervosismo del centro-destra però ci sono altri due elementi ancor più urticanti. Non solo Giorgetti ha marcato in questi giorni la sua posizione strategica diversa da quella di Salvini, ma ha anche preso le distanze da due dei candidati del centro-destra, cioè da Bernardo e da Michetti.

Allo stato non si capisce se si è trattato di un incredibile errore o di una dichiarazione di guerra. Infine l’ultima ragione di nervosismo (usiamo un eufemismo) nella Lega è causato dall’infortunio personale a cui è andato incontro Luca Morisi, il geniale inventore e gestore della struttura social di Salvini denominata giustamente “la Bestia”. Due giorni fa Tiziana Maiolo sulle pagine di questo giornale ha scritto condivisibili parole di stampo garantista sulla vicenda personale di Morisi. Però c’è anche il rovescio della medaglia. Se Salvini e Morisi hanno messo in piedi una macchina sui social fondata sulla demonizzazione sistematica e selvaggia di tutti gli avversari possibili e immaginabili è poi un po’ difficile pensare di farla franca quando perdipiù ci si trova personalmente esposti su materie che hanno costituito uno degli elementi fondamentali di attacco da parte della “Bestia”. Facciamo qualche esempio attraverso i nomi: Ilaria Cucchi, Elsa Fornero, Maria Elena Boschi sono state letteralmente linciate con effetto di trascinamento sui social.

La famiglia Cucchi è stata insultata perché comunque “quel drogato se l’è cercata”, sotto casa della professoressa Fornero ci sono state manifestazioni e adesso è sotto scorta, Maria Elena Boschi è stata oggetto di insulti di tutti i tipi propagati dalla rete. E questo è l’apparato di comunicazione apprestato da un leader che punta a diventare nel futuro il presidente del Consiglio risultando il più votato nel centro-destra. Ecco che con questo retroterra nel centro-destra e con lo stato confusionale con cui sull’altro lato si trovano i grillini non si può fare a meno di rilevare che, visti i gravissimi problemi da affrontare (pandemia ed economia) l’Italia corre rischi molto seri se con leggerezza, anzi con incoscienza cambia il ruolo di Draghi nello spazio di pochi mesi andando incontro a incognite molto rilevanti sul piano del governo. Rispetto a tutto questo personalmente non abbiamo remore a dichiarare che per noi la situazione ottimale sarebbe quella di prolungare di un paio d’anni la presidenza della Repubblica di Mattarella portando almeno fino al 2023 la presidenza del Consiglio di Draghi.

Finora si è trattato di una eterogenea “coppia politica istituzionale” che ha funzionato benissimo e in modo assai equilibrato. Contro questa ipotesi si è già mossa Giorgia Meloni et pour cause?: da un lato Giorgia Meloni punta ad elezioni il più possibile anticipate in modo da far saltare tutto l’equilibrio da cui si è autoesclusa; in secondo luogo, anche senza dirlo esplicitamente, siccome Giorgia Meloni ha qualche contezza delle possibili reazioni europee a un governo di centro-destra presieduto da lei o da Salvini (ma anche senza dover superare i confini per parte sua Berlusconi ha espresso la sua stupefazione rispetto a questa ipotesi), allora essa vuole utilizzare una eventuale ravvicinata presidenza della Repubblica di Draghi come copertura di un governo di destra esposto di per sé a molteplici rischi e avventure, sia per i suoi leader, sia per la sua eventuale composizione (a proposito, che ruolo avrebbero i professori Borghi e Bagnai?). Perdipiù siccome non siamo in una repubblica presidenziale sarebbe in quel caso elevatissimo il rischio di mille casini e anche di una destabilizzazione globale. Allora rovesciamo il discorso.

Per parte nostra diciamo esplicitamente di capire molto poco il fatto che a parte Giorgia Meloni ci siano invece altri, sostenitori di ben diversa impostazione, che sostengono anch’essi l’elezione anticipata di Draghi nel 2022 alla presidenza della Repubblica, anticipando di un anno la verifica politica globale che avverrebbe alla scadenza naturale del 2023. A nostro avviso il rischio assai probabile di questa anticipazione sarebbe che nel 2022 si apra in Italia una fase di “torbidi” che porta o ad elezioni anticipate in un clima di rissa, o a un governo debolissimo rispetto alle esigenze obiettive: si parla di un governo Cartabia o Franco (ma con tutto il rispetto siamo a Scherzi a parte?). Inoltre nell’uno e nell’altro caso a nostro avviso la copertura offerta da Draghi dalla presidenza della Repubblica a una situazione così destabilizzata e anche piena di incognite rischierebbe di essere comunque di carta velina: in quel caso l’Italia rischia di andare incontro a gravissime perturbazioni dal lato della speculazione finanziaria e internazionale perdipiù dovendo fare i conti con un establishment europeo a sua volta incerto vista anche la situazione tedesca che però potrebbe trattare malissimo un’Italia che ha perso alla presidenza del Consiglio l’unica personalità nella quale tutti hanno fiducia.

Di conseguenza il governo Draghi di qui al 2023 con il suo orientamento riformista, garantista, europeista e occidentale è l’unico governo in grado di tenere la barra ferma sul terreno della lotta al contagio (anche su questo terreno né Salvini né la Meloni offrono serie garanzie di tenuta e di rigore rispetto ai no vax e a stati d’animo lassisti) e di una politica economica in grado di sviluppare crescita e rigore realizzando tutte le riforme richieste dalla realizzazione del Recovery Fund e misurandosi con l’Europa per ciò che riguarda sia la revisione del fiscal compact, sia la politica migratoria. Insomma, a nostro avviso, è molto meglio assicurare all’Italia il governo Draghi fino al 2023 correndo qualche rischio nel 2022 per l’elezione del presidente della Repubblica (ma oltre Mattarella esistono candidati seri e affidabili e c’è un bilanciamento fra le forze e un ruolo di equilibrio che possono svolgere in parlamento Forza Italia, Renzi, Quagliariello, per i centristi Toti e Brugnaro) piuttosto che mettere tutto a rischio con la messa in questione del governo Draghi. Facciamo insomma di tutto affinché non si realizzi il pericoloso motto quos deus vult perdere perdidit che sarebbe appunto l’ipotesi di eliminare dalla scena nel 2022 il governo Draghi.